Dipendenza. Una parola dal significato molto ampio e sempre pericoloso. Dalla droga all’utilizzo eccessivo dei social, fino al gioco d’azzardo. Ma allo stesso un tempo un concetto che molti giovani accolgono come l’unica ancora di salvezza, per combattere i propri demoni interiori e le difficoltà della vita. Di contro gli adulti, spesso in un certo senso cause principali delle dipendenze giovanili e incapaci di vigilare nel far sì che tutto ciò non accada. È quanto emerso durante l’evento intitolato “Dipendenze giovanili: tra contrasto, sfide educative e responsabilità condivise”, tenutosi martedì sera nella bellissima cornice del teatrino della Villa reale, a Monza. L’incontro, per il quale la diocesi di Milano si è fortemente spesa nell’organizzazione, è stato accolto e sviluppato dalle autorità monzesi che hanno organizzato una tavola rotonda (moderata dal giornalista Milo Infante) per spiegare la situazione attuale e mettere in guardia sui principali problemi.

Proprio sul fatto di dover essere messi al corrente, si è soffermato l’Arcivescovo di Milano, Mario Delpini: «Penso sia necessario riflettere sulla gravità di un fenomeno ormai epidemico. Tutti noi dobbiamo conoscere le dipendenze diffuse a cui vanno incontro i nostri giovani. Familiari ed educatori sono chiamati a fare prevenzione in tal senso, costruendo con i ragazzi delle relazioni impostate sul senso di responsabilità. Spesso gli adulti lasciano i giovani in balia di loro stessi. I più grandi non sempre sono contenti di essere adulti e chiaramente i loro figli fanno fatica a voler diventare a loro tali».

Per l’Arcivescovo dunque sono necessarie prevenzione e costruzione del rapporto, mentre la repressione e la punizione non sono elementi utili: «La repressione è inefficace. La carcerazione ormai è un percorso fallimentare. Le dinamiche della detenzione ormai rendono peggiori le persone. Serve trovare un correttivo basato sul costante reinserimento nella società. E pure l’informazione credo sia inefficace. Le lezioni a scuola contro le varie dipendenze sono inadeguate. La sapienza vera è dare buone ragioni per non dipendere, non solo perché fa male o perché arriva la punizione. Dobbiamo far capire ai ragazzi che vivere vale la pena. La vita merita di essere vissuta ovunque. A casa, a scuola, al campo sportivo e anche in oratorio, il luogo più adatto a costruire amicizie solide, che poi rendono migliori le persone».

All’attenta disamina di monsignor Delpini ha fatto eco quella della professoressa Elena Marta (Ordinario di Psicologia sociale e di comunità dell’Università Cattolica e Direttore del Centro di Ricerca sullo Sviluppo di Comunità e la Convivenza Organizzativa – CERISVICO). Anche la docente ha sottolineato come le azioni degli adulti spesso condizionano quelle dei ragazzi: «È evidente che ormai sempre più giovani preferiscono affidarsi a sostanze e dipendenze e non all'aiuto di adulti e amici. Ma questo accade, in molti casi, perché noi persone più grandi non sappiamo né ascoltare, né dare risposte alle loro domande di aiuto. I ragazzi d’oggi hanno tutti sogni e ambizioni, ma faticano ad attuarli. Hanno paura di sbagliare e deludere gli adulti, di non essere all'altezza della situazione e sono consapevoli di non riuscire a cogliere le opportunità». E quindi Marta ha lanciato un monito: «Noi poniamo sui giovani uno sguardo giudicante e stereotipato. I ragazzi ci restituiscono ciò che diamo loro. Ci chiedono di aiutarli a capire il senso del vivere e a non avere paura del futuro. Tutto ciò crea in loro grande rabbia. Una rabbia strisciante e sopita che nasce dalla sofferenza e che viene sfogata con l’accesso alle sostanze. Noi familiari ed educatori siamo chiamati ad accompagnarli in un percorso privo di incoerenze. Facendoli anche cadere per portarli ad una maturazione, ma dando loro bussole concrete».

Nel resto del dibattito Giuseppe Enzo Spina (Direttore centrale per i servizi antidroga del Ministero dell’Interno) e Marcello Viola (Procuratore della Repubblica di Milano) hanno sottolineato l’aumento della diffusione di droghe, dalla cannabis alla cocaina fino al pericolosissimo Fentanyl, fenomeno sempre più marcato a Milano e in Lombardia e che necessita di una rete di contrasto serrata.

Fondamentale infine la riflessione del procuratore del Tribunale dei Minorenni di Milano, Luca Villa, che è da anni a contatto diretto con i giovani vittime di dipendenze: «Il nostro lavoro è bello e difficile. Si parte dalla caduta di un ragazzo e si cerca di fargli capire, con difficoltà crescente, la gravità di un reato penale. L’idea di subire una punizione non spaventa più. Mi colpisce che il consumo delle sostanze sia diffuso tra l’80% dei ragazzi. Questi giovani hanno una routine spaventosa. Cenano, si fanno una canna, stanno attaccati al cellulare fino alle 2 di notte, la mattina non riescono ad andare a scuola e lì inizia un ciclo di marginalità sociale. Alcuni arrivano a non uscire più di casa. Diventano hikikomori, hanno dipendenza dalla sostanza e dalla rete. Il concetto di “smetto quando voglio” non è così facilmente attuabile. Bisogna lavorare sul cambiamento con il collocamento in comunità, per riaprirli alla socialità ridando loro regole normali. Il problema dei nostri ragazzi è che non stanno in relazione con gli altri. Il 60 % dei giovani è dipendente da devices. E la colpa è anche delle famiglie. Le cose sono cambiate nel 2010, quando si è iniziato a regalare ai figli minori lo smartphone. In 9 anni, dal 2010 al 2019, si è passati da 6 a 95 casi di minori che maltrattano i familiari. E quest’anno sono 106. Non si può più fare finta di nulla».