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Lo chiamano docufilm, con una brutta parola di moda, forse per paura che chiamarlo documentario sia sinonimo di noia. Errore clamoroso. Zanetti story, nelle sale in data unica in tutta Italia il 27 febbraio, è invece un documentario ben fatto e suggestivo sulla storia di Xavier Zanetti, storico e amatissmo capitano nerazzurro. E' firmato da Carlo A. Sigon e Simone Scafidi, e realizzato da F.C. Internazionale Milano e Nexo Digital
È bello perché non è banale, perché non fa la cosa che tutti si aspetterebbero: travestire di immagini una lunga intervista a Javier Zanetti. Niente di tutto questo, Zanetti è il centro di tutto, ma si vede solo nelle immagini sgranate di repertorio che denunciano tutto il loro tempo e con esso la loro quota di inedita autenticità e in una sequenza di corsa nel fango di una cava, quella invece preparata ad hoc, perfetta per dare l’idea operaia del pallone che Javier ha sempre incarnato.
Per il resto è uno Zanetti di parole non sue: raccontato intorno, dal padre, dalla moglie, dal suocero, dagli amici di infanzia, dagli avversari su tutti Messi, da Mourinho e da Massimo Moratti cui forse si può rimproverare la piccola ineleganza di rivendicare, senza necessità alcuna in quel contesto, il famoso scudetto a tavolino. Ma soprattutto uno Zanetti raccontato dalla voce di Albino Guaron, grande scrittore argentino, cieco, che ne ha fatto il protagonista del suo ultimo libro senza averlo mai visto giocare: una suggestione nella sugestione che ricalca lo spirito del documentario, che non mostra la storia di Zanetti che per poche immagini, ma che lo fa vivere nelle voci degli altri.
Una metafora del calcio che amiamo anche. A pensarci bene se, all’improvviso, le privassimo del racconto che contengono, le partite di calcio sarebbero tutte uguali: uno sfaccendarsi di ventidue ragazzi in brache corte appresso a un pallone. Sono il racconto, la vita, la poesia di cui lo riempiamo a farne il nostro giocattolo preferito.
È bello perché non è banale, perché non fa la cosa che tutti si aspetterebbero: travestire di immagini una lunga intervista a Javier Zanetti. Niente di tutto questo, Zanetti è il centro di tutto, ma si vede solo nelle immagini sgranate di repertorio che denunciano tutto il loro tempo e con esso la loro quota di inedita autenticità e in una sequenza di corsa nel fango di una cava, quella invece preparata ad hoc, perfetta per dare l’idea operaia del pallone che Javier ha sempre incarnato.
Per il resto è uno Zanetti di parole non sue: raccontato intorno, dal padre, dalla moglie, dal suocero, dagli amici di infanzia, dagli avversari su tutti Messi, da Mourinho e da Massimo Moratti cui forse si può rimproverare la piccola ineleganza di rivendicare, senza necessità alcuna in quel contesto, il famoso scudetto a tavolino. Ma soprattutto uno Zanetti raccontato dalla voce di Albino Guaron, grande scrittore argentino, cieco, che ne ha fatto il protagonista del suo ultimo libro senza averlo mai visto giocare: una suggestione nella sugestione che ricalca lo spirito del documentario, che non mostra la storia di Zanetti che per poche immagini, ma che lo fa vivere nelle voci degli altri.
Una metafora del calcio che amiamo anche. A pensarci bene se, all’improvviso, le privassimo del racconto che contengono, le partite di calcio sarebbero tutte uguali: uno sfaccendarsi di ventidue ragazzi in brache corte appresso a un pallone. Sono il racconto, la vita, la poesia di cui lo riempiamo a farne il nostro giocattolo preferito.



