In occasione della festa del papà, un lettore ci ha scritto un messaggio chiedendoci di rendere pubblica una sua lettera al figlio preceduta dalle seguenti pariole: 


Sono un vostro lettore del Sud Italia. Mio figlio lavora al Nord, ogni tanto ci sentiamo al telefono. Ieri mi ha domandato perché quasi sempre gli chiedo se è felice. Stavo per rispondergli ma lui mi ha detto: «Poi me lo dici, ora ho un impegno». 
Spero tanto che legga questa mia lettera: 


Paolo, figlio mio, te lo chiedo perché avrei tanto desiderato che mio padre l’avesse chiesto a me se ero felice, in quegli anni ’50, quando appena adolescente, con tanto bisogno di volere bene e di sentirmi voluto bene, mi innamorai di una ragazza e quando lei mi aprì le braccia mi ci legai anima e corpo senza accorgermi che mi “rubava” il cuore e lo buttava nella spazzatura. Se mio padre, allora, anche una sola volta mi avesse chiesto: “sei felice?”, gli avrei risposto: "no! ".Probabilmente avrei ricevuto l’aiuto che cercavo, per quel problema e per gli altri a venire. Ma ero completamente indifeso e soggiogato da una grande timidezza che mi toglieva ogni possibilità di cercare un dialogo con lui, con quel papà che tentavo invano di “incontrare”, che avrei voluto come “maestro” e amico… ma il mio desiderio di coinvolgerlo in un’amicizia che andasse oltre il rapporto autoritario genitore/figlio non sono riuscito mai a realizzarlo. Sicuramente in quegli anni era normale avere un genitore così, però se mio padre avesse ridotto le “distanze” tutto sarebbe stato diverso. Ma lui apparteneva al suo tempo e ubbidiva ai dettami di un’educazione rigida e anche io non l’ho saputo aiutare a creare un ponte tra me e lui. Figlio mio, ecco perché spesso ti domando: "sei felice?". Per dirti che sono sempre pronto ad ascoltarti e aiutarti, caso mai tu avessi bisogno di confidarti. Te lo chiedo perché ti voglio sentire felice. Te lo chiedo perché ho tanto desiderato che mio padre lo avesse chiesto a me!
Papà Raffaele