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Fiorella Mannoia non si ferma mai. «A settembre a Cortona chiuderemo il tour con il centesimo concerto in poco più di un anno. Ma so già che dopo un mese penserò: “E mo’ che famo? Quando si riparte? Sono abituata a questa vita nomade. E soprattutto mi piace: tanto mi annoia il lavoro in uno studio di registrazione, tanto sono felice quando canto davanti alla gente». Una soddisfazione amplificata dal fatto di essere accompagnata dall’Orchestra sinfonica Saverio Mercadante di Altamura diretta dal maestro Rocco De Bernardis.
Nei concerti fa vedere È come sembra, il cortometraggio diretto da Anna Foglietta contro la violenza sulle donne realizzato dalla Fondazione “Una, nessuna, centomila” di cui fa parte.
«Lo abbiamo mostrato nelle due date alle Terme di Caracalla, dove avevamo dei grandi schermi. Ma sono felice che sia stata proiettato nei live di artisti seguitissimi come Vasco Rossi, Jovanotti, Marco Mengoni, Achille Lauro, Marracash».
All’inizio della sua carriera ha fatto da controfigura a Monica Vitti nella scena del film Amore mio aiutami in cui Alberto Sordi la riempie di botte perché continua a ripetere di amare un altro uomo. Che effetto le fa rivederla?
«Oggi sarebbe impensabile girare quella scena. E se fino a 30-40 anni fa faceva ridere, oggi fa riflettere su quanto siamo solo all’inizio di un percorso. Sui social molti uomini scrivono: “Perché ce l’avete con noi?”. Ma questa non è una battaglia contro qualcuno. Dobbiamo prenderci per mano tutti per superare questi retaggi e ascoltare il disagio che non solo le ragazze, ma anche molti ragazzi vivono. Se un uomo riceve un rifiuto da una donna, questo non equivale a un insulto alla sua virilità. E quando la donna dice no è no, anche se è vestita in modo provocante o ha bevuto qualche bicchiere di troppo: l’amore senza consenso non è mai amore, è sempre e solo stupro».
Per questo nei concerti cambia il finale della sua canzone più famosa, Quello che le donne non dicono, scritta per lei da Enrico Ruggeri. Il verso: “Ti diremo ancora un altro sì” è diventato: “Ti diremo ancora un altro no”.
«Non lo faccio sempre. A volte mantengo la versione originale, a volte dico: “Ti diremo ancora un altro… forse”. Quando cambio, spesso chiedo ai papà presenti tra il pubblico di insegnare queste cose ai loro figli maschi. Perché credo che la scuola possa fare molto, ma il vero cambiamento passa dalla famiglia. Se un ragazzino cresce con un padre autoritario e una madre sottomessa, non avrà di certo dei buoni esempi su cui costruire la sua identità di uomo».
A settembre tornerà in Tv con Semplicemente Fiorella, resoconto dei concerti di quest’estate alle Terme di Caracalla, e con una serata che condurrà con Carlo Conti da piazza del Plebiscito a Napoli per celebrare Pino Daniele nel decennale della sua scomparsa. Lui era noto nell’ambiente per il suo caratterino. Lei che ricordo ne ha?
«Pino si arrabbiava solo quando vedeva che qualcuno non rispettava la musica, che per lui era tutto. Con me è sempre stato una delizia, anche perché sapevo farlo ridere. E comunque è stato unico: nella musica italiana c’è un prima e un dopo Pino Daniele».
È stata amica anche di un altro grande della musica italiana che quest’anno avrebbe compiuto 80 anni: Franco Battiato. È vero che le insegnò a dipingere?
«Vivevamo entrambi a Milano. Un giorno andai a casa sua, vidi i suoi quadri e buttai lì che mi sarebbe piaciuto imparare. Allora ogni mattina alle sette e mezza mi svegliava: “Giù dalle brande!”. Andavo da lui, prendevo il pennello e dopo un po’ esclamava (imita la voce di Battiato, ndr): “Fiorella, ma è bellissimo!”. Mentiva spudoratamente, ma gli sono grata perché credo che solo quando provi a dipingere capisci davvero il lavoro dei grandi artisti. Io sono rimasta una schiappa, ma oggi quando vedo un quadro resto a fissarlo per capire il perché di una pennellata e i giochi di luce. Insomma, me lo gusto molto di più e questo lo devo a Franco».
Il suo ultimo album si intitola Disubbidire. Cosa significa per lei?
«Lottare in modo non violento per gli ideali in cui si crede, come ho fatto io ai tempi della scuola. Per i ragazzi di oggi è molto più difficile. Non puoi nemmeno sventolare una bandiera della Palestina che arrivano i manganelli».



