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di Ivano Zoppi (segretario generale di Fondazione Carolina)
Questa vicenda conferma drammaticamente ciò che denunciamo da anni: il cyberbullismo e la violenza digitale non sono problemi solo giovanili, ma specchio delle fragilità collettive della nostra società. Quando adulti utilizzano la tecnologia per violare, umiliare e danneggiare altri esseri umani, quale esempio stiamo dando alle nuove generazioni?
Non possiamo più stupirci quando la cronaca ci restituisce episodi come questo: prendiamo coscienza della normalità di queste azioni. Perché di normalità si tratta, almeno per quanto riguarda le nuove generazioni. Fenomeni quali deepfake e utilizzo dell’AI per la manipolazione di foto o video rappresentano una realtà per migliaia di ragazzi. Sempre più diffusa, ad esempio, la costruzione di avatar tramite l’intelligenza generativa per realizzare emoji o immagini profilo sui social o nelle chat. Una pratica tipica anche nella sfera dei giochi online. Questa abitudine, se applicata alla diffusione illegale di materiale sessualmente esplicito, assume contorni inquietanti.
Le continue innovazioni in ambito digitale, unite alla facilità dell’utilizzo di questi strumenti, hanno negli anni stravolto la grammatica di alcune fattispecie di reato, sulle quali il Legislatore è intervenuto anche di recente. Quando si parla di revenge porn, ad esempio, al malintenzionato non serve più reperire, clandestinamente o meno, immagini intime della vittima, ma basterà scaricare una semplice foto, anche in primo piano. A quel punto basterà montare il volto della persona sul corpo nudo di un terzo soggetto per ottenere l’effetto desiderato. In altri casi, l’intelligenza artificiale consente di ottenere l’immagine di un soggetto nudo partendo da una fotografia in costume da bagno. Basta una semplice App, un link a un sito specializzato e il gioco è fatto.
Non si tratta di ipotesi campate per aria, quello che è successo a Francesca Barra, giustamente rilanciato dalle cronache nazionali, succede anche tra giovanissimi. Non sono mancati, purtroppo, casi simili gestiti dal Rescue Team di Fondazione Carolina, l’equipe interdisciplinare che assicura un supporto tempestivo alle famiglie quando nelle scuole, negli oratori, nelle attività sportive o ricreative si verificano episodi di violenza o disagio online.
E allora, che fare? Bisogna avere il coraggio di non nascondere la polvere sotto il tappeto. La responsabilità è nostra e non possiamo scaricarla sulla rincorsa tecnologica. Il progresso non ha un’anima, siamo noi che dobbiamo declinare sul piano digitale quei valori universali di rispetto e convivenza civile che spesso diamo per scontato sul piano fisico, quotidiano. Non bastano le leggi, che abbiamo visto possono essere superate dai fatti e dalle nuove possibilità offerte dalla tecnologia. Serve ben altro. Serve una svolta sul piano educativo e formativo.
Da un lato il problema tecnologico. Trovare strumenti che impediscano la condivisione di questo tipo di immagini, ma dall’altro ancora più importante il problema culturale: perché un uomo sceglie di usare la tecnologia per creare immagini di questo tipo? Più che l’intelligenza artificiale, il problema è la pruriginosa curiosità, la maleducazione che spinge verso questa deriva da parte di noi adulti. Condotte assimilate dalle giovani generazioni, che per noia, mancanza di empatia e ignoranza sulla reale portata di determinate scelte, replicano questi comportamenti con distacco e indifferenza.
Ogni volta che succede questo qualcosa si rompe, sia nelle vittime sia nei carnefici. Facile gridare allo scandalo e puntare il dito, ma i cocci, poi, non li raccoglie nessuno.



