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Quando finirà il caso Garlasco? Quali altri indizi, approfondimenti, perizie ci saranno prima che cali definitivamente il sipario su un delitto che va avanti da nove anni, da quel 13 agosto 2007 in cui Chiara Poggi veniva uccisa nella sua casa di Garlasco? Le prime due sentenze a carico di Alberto Stasi furono di assoluzione; la terza, emessa dalla Cassazione, le ha annullate con l'invito ad approfondire le indagini, in particolare alcuni indizi «trascurati».
Poi il processo d’appello bis, conclusosi nel dicembre 2014 con la condanna di Stasi a 16 anni di carcere, verdetto confermato l’anno scorso dalla Cassazione. Per la giustizia italiana questa è la parola fine. Alberto Stasi sta scontando la sua pena nel carcere di Bollate. «Un innocente in prigione», lo hanno definito i suoi legali lunedì in una conferenza stampa convocata a Palazzo di Giustizia a Milano per annunciare che chiederanno la revisione del processo sulla base dei risultati di una nuova perizia, secondo la quale le tracce di Dna rinvenute sotto le unghie di Chiara Poggi non sono di Stasi. «Colpo di scena», hanno titolato i giornali. L’ennesimo, in questo rebus maledetto che non si riesce a risolvere.
Forse il processo verrà riaperto, forse no. Il delitto di Garlasco, sin dall’inizio, è stato anche un dialogo doloroso e angosciante tra due madri, Rita Preda, mamma di Chiara, ed Elisabetta Ligabò, la mamma di Alberto.
Sulle prime, le due famiglie hanno dialogato a distanza, con dignità. Senza accuse, senza astio, senza odio. Di qua due genitori che hanno perduto una figlia, di là due genitori che si sono battuti per non perdere il loro. In mezzo la girandola impazzita della giustizia che ha assolto due volte Stasi e poi lo ha condannato in un processo fortemente indiziario.
L’ultimo colpo di scena nasce da uno sfogo umanissimo e comprensibile di Elisabetta Ligabò che ha annunciato al Corriere della Sera l’esito della nuova perizia e ha spiegato che suo figlio «è stato privato della vita» e «chi sa del delitto ha continuato a non parlare e a stare nascosto, scegliendo il silenzio, un silenzio terribile, asfissiante che ha coperto e depistato. Così facendo», ha detto, «non ha reso giustizia a una ragazza morta e, allo stesso tempo, sta uccidendo una seconda persona. Non ho creduto nemmeno per un istante a una sua responsabilità - ha aggiunto - non ha ammazzato Chiara».
Due famiglie in bilico
La risposta di Rita Poggi è arrivata tramite il legale della famiglia Gian Luigi Tizzoni: «C'è una sentenza definitiva e per noi quella vale. Se la difesa di Stasi ha un nome, lo faccia pubblicamente, senza nascondersi dietro un dito», le sue parole. E l’avvocato Tizzoni ha spiegato: «Adesso li sfido a presentare una denuncia formale nei confronti di chi ritengono responsabile. A mio giudizio non è emerso alcun elemento di novità da questi ulteriori accertamenti», aggiungendo che «tutto è già stato affrontato nella perizia del professor De Stefano, che ha ritenuto i risultati dell'esame dei margini delle unghie giuridicamente inutilizzabili, con l'accordo per altro di tutte le parti. Da due analisi di quel materiale sono emersi risultati completamente diversi». Secondo l'avvocato Tizzoni, i periti della famiglia Stasi «hanno raccolto il Dna di una persona di cui sospettano. Bisogna però domandarsi con che cosa l'hanno comparato. Evidentemente con uno solo dei due estratti. Ma per la Cassazione è necessario che ci sia ripetibilità sullo stesso campione».
Forse la giustizia non può dire altro dopo la sentenza definitiva di un anno fa. Ma del “caso Garlasco” restano due cose: tanta rabbia per un sistema giudiziario che, a cominciare dalla fase disastrosa delle indagini, non può non fare paura per quanto è stato lento e contraddittorio. E poi la tragedia di due famiglie in bilico, accomunate da un destino crudele.



