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A Garlasco sembra di essere tornati indietro di 18 anni. E non parliamo della nuova inchiesta della Procura di Pavia che sta cercando, doverosamente, di venire a capo di un giallo il cui mistero si riapre in continuazione e verificare se la persona condannata in via definitiva, Alberto Stasi, sia davvero il colpevole o no dell’omicidio di Chiara Poggi. No, a Garlasco sembra di essere tornati indietro di 18 anni per tutto il contorno che s’è scatenato attorno all’inchiesta.
È tornato Fabrizio Corona, come già aveva fatto nei giorni caldi del delitto, nell’agosto 2007, quando provò a contattare le gemelle K. L’ex re dei paparazzi martedì s’è presentato davanti alla Procura di Pavia, dove era in programma l’interrogatorio in contemporanea di Alberto Stasi, che si è presentato e ha risposto alle domande degli inquirenti, e Andrea Sempio, che non s’è presentato – per dire la sua sull’inchiesta e assicurare noialtri che non lo fa per «spettacolarizzare» la sua «immagine», perché «a 51 anni non ne ho più bisogno».
L’attenzione mediatica è comprensibile, per un delitto efferato che nelle aule dei tribunali ha danzato vertiginosamente tra verdetti opposti: due assoluzioni in primo e secondo grado per Alberto Stasi, la Cassazione che annulla con rinvio, poi la condanna in Corte d’appello a Milano e la Cassazione che nel 2015 conferma la pena a 16 anni che Stasi ha già quasi finito di scontare e ora è in stato di semilibertà.
La nuova inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Stefano Civardi e dalle pm Valentina De Stefano e Giuliana Rizza e condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, ha preso la strada della convinzione che il delitto sia stato commesso non da una ma da più persone, tra cui Andrea Sempio, l’amico del fratello della vittima.
In un caso delicato come questo ci si aspetterebbe che tutti i protagonisti, pur portando avanti ognuna le proprie convinzioni nel perimetro delle regole, misurassero le parole, calibrassero gli atteggiamenti, centellinassero le dichiarazioni.
Non è accaduto, martedì, con uno dei legali di Andrea Sempio, Angela Taccia (l’altro è Massimo Lovati), che nel “motivare” il fatto che il suo assistito non si sia presentato all’interrogatorio chiesto dalla procura di Pavia ha pubblicato una storia sul suo profilo Instagram scrivendo “Guerra dura senza paura. CPP we love you” (“Codice di procedura penale, noi ti amiamo”). Una frase corredata con un cuoricino blu e l’emoticon di una tigre per dire che secondo i legali di Sempio l’invito a comparire da parte della Procura era nullo per via di un vizio di forma. Poi altre frasi, affidate ai social: «Lascia che l'oceano ti insegni che puoi essere sia calmo che caotico, gentile e forte».
L’inchiesta è ancora agli inizi ma parole roboanti e completamente fuori luogo come “guerra” utilizzate da Taccia, e buttate in pasto ai social dove tutto viene maledettamente semplificato o ridotto a tifo da stadio, promettono di avvelenare il clima più di quanto non lo sia già dopo inchieste e battaglie giudiziarie che vanno avanti da 18 anni. Il delitto di Garlasco non è un gioco, né uno show.
C’è una vittima (e la sua famiglia) che attendono chiarezza, c’è un’opinione pubblica sbigottita che non sa se provare sollievo per una giustizia capace di ravvedersi a 18 anni dai fatti, o disperarsi per una giustizia che tiene in carcere un (presunto) innocente per tutto questo tempo.
Ogni parola di troppo rischia di rendere tutto ancora più complicato e offendere la vittima, Chiara Poggi, la sua famiglia, e gli inquirenti che stanno indagando.



