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C’è un interrogativo fondamentale che papa Francesco consegna ai preti e seminaristi, nell’omelia a conclusione del Giubileo dedicato ai sacerdoti: dove punta l’ago della bussola di un cuore sacerdotale, dove è orientato il suo cuore? Celebra Messa in piazza San Pietro, Francesco, dopo aver proposto tre meditazioni nelle basiliche romane, e ai preti indica due direzioni verso cui deve convergere il cuore del pastore anche in mezzo alle mille attività di cui spesso è piena la sua giornata: il Signore e la gente. Quello del sacerdote, del resto, non è «un cuore ballerino», che «si lascia attrarre dalla suggestione del momento o che va di qua e di là in cerca di consensi». È invece «un cuore saldo nel Signore, aperto e disponibile ai fratelli».
PRIMA LA MISERICORDIA
È questo il fil rouge che lega le tre riflessioni e l’omelia pronunciate in questa tre giorni romana dei preti, e che il Papa evidenzia sin dalla sua prima meditazione il 2 giugno nella cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano: «Misericordiare» e «essere misericordiati». Come lui stesso dice, forza la lingua per affermare con decisione che è questa la strada da percorrere. E lo sottolinea bene don Luigi, uno dei sacerdoti presenti: «Noi portiamo misericordia sapendo che siamo noi stessi misericordiati; ovvero, se non ci lasciamo raggiungere dalla misericordia non saremo mai capaci di portare a nostra volta la misericordia di Dio». E questo perché, aggiunge don Luigi, non abbiamo ricevuto delle «istruzioni per l’uso», ma «sappiamo che nel nostro pellegrinaggio terreno abbiamo qualcuno che ci accompagna ed è accanto a noi nelle situazioni difficili e nel tempo bello». E questa persona «non ci ha spiegato cos’è la croce, ma si è fatto inchiodare su quel legno per noi».
A DISPOSIZIONE DEL POPOLO
L’immagine del prete di Francesco è quella di un pastore scalzo e senza agenda, come ha affermato recentemente ai vescovi italiani, aprendo i lavori dell’assemblea della Cei. Un prete con l’odore delle pecore, che va a cercare la pecorella smarrita «senza farsi spaventare dai rischi» e «senza remore si avventura fuori dei luoghi del pascolo e fuori degli orari di lavoro». Nelle sue riflessioni tenute nelle tre basiliche romane e in modo particolare nella terza a San Paolo, il Papa ha più volte messo l’accento sulla disponibilità all’ascolto, anche se questo costa fatica: ho conosciuto sacerdoti «che, quando non c’era la segreteria telefonica, dormivano con il telefono sul comodino, e nessuno moriva senza i sacramenti; chiamavano a qualsiasi ora, e loro si alzavano e andavano». È la figura del Buon pastore, il cui cuore «è inquieto finché non ritrova quell’unica pecora smarrita»; e una volta ritrovata «dimentica la fatica e se la carica sulle spalle tutto contento».
Lo ripete nella sua omelia in piazza San Pietro: il cuore del pastore «non privatizza i tempi e gli spazi, non è geloso della sua legittima tranquillità, e mai pretende di non essere disturbato». Ancora, ha il cuore libero e «non vive rendicontando quello che ha e le ore di servizio; non è un ragioniere dello spirito, ma un Buon samaritano in cerca di chi ha bisogno». Il prete per Francesco è un «ostinato nel bene», non solo tiene le porte aperte «ma esce in cerca di chi per la porta non vuole più entrare».
L’ABBRACCIO DEL PADRE
Don Antonio Mastantonio è parroco a Larino, Molise, e insegna nell’università Lateranense. La prima immagine che evidenzia, nelle parole di Francesco, è quella della parabola del Figlio prodigo, di quel padre che abbraccia il figlio che è tornato tutto sporco: «È quella “vergognata dignità” che il Papa evidenzia. Questo vale anche per noi sacerdoti, peccatori tra i peccatori. Siamo un otre in cui si riversa la misericordia e, nel momento in cui avverti che sei bisognoso di misericordia, se sei un buon figlio allora sarai anche un buon padre».
Papa Francesco ricordava ai sacerdoti che «abbiamo chiesto la grazia di essere segno e strumento; ora si tratta di agire e non solo di compiere gesti, ma di fare opere, di istituzionalizzare, di creare una cultura della misericordia». I preti possono e devono chiedere «la grazia» di gustare con Cristo sulla croce «il sapore amaro del fiele di tutti i crocifissi, per sentire così l’odore forte della miseria, in ospedali da campo, in treni e barconi pieni di gente. Quell’odore che l’olio della misericordia non copre, ma che ungendolo fa sì che si risvegli la speranza».
Un prete che non coglie la necessità dell’altro non è un buon prete. Don Antonio si sofferma su un altro passaggio delle parole del Papa, il ricordo di quella preghiera davanti all’immagine della Morenita, la Madonna di Guadalupe: «Lo spazio che i suoi occhi aprono è quello di un grembo, non quello di un tribunale o di un consultorio professionale. Ecco, mi sembra che il Papa ci dica: solo chi ha occhi di misericordia come quelli di Maria è capace di essere veramente accanto agli altri».
È nella riflessione a Santa Maria maggiore che Francesco ha chiesto ai preti «di non essere impermeabili agli sguardi per non rimanere chiusi in se stessi». È l’immagine cara a Francesco, quella di una misericordia «esagerata», che «non ci dipinge dall’esterno una faccia da buoni, non ci fa il photoshop, ma con i medesimi fili delle nostre miserie e dei nostri peccati, intessuti con amore dal Padre, ci tesse in modo tale che la nostra anima si rinnova recuperando la sua vera immagine, quella di Gesù». Una misericordia che va oltre la giustizia: che non usa i guanti, ma «si sporca le mani, tocca, si mette in gioco, vuole coinvolgersi con l’altro». E l’altro non è mai un caso ma sempre una persona.
PRIMA LA MISERICORDIA
È questo il fil rouge che lega le tre riflessioni e l’omelia pronunciate in questa tre giorni romana dei preti, e che il Papa evidenzia sin dalla sua prima meditazione il 2 giugno nella cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano: «Misericordiare» e «essere misericordiati». Come lui stesso dice, forza la lingua per affermare con decisione che è questa la strada da percorrere. E lo sottolinea bene don Luigi, uno dei sacerdoti presenti: «Noi portiamo misericordia sapendo che siamo noi stessi misericordiati; ovvero, se non ci lasciamo raggiungere dalla misericordia non saremo mai capaci di portare a nostra volta la misericordia di Dio». E questo perché, aggiunge don Luigi, non abbiamo ricevuto delle «istruzioni per l’uso», ma «sappiamo che nel nostro pellegrinaggio terreno abbiamo qualcuno che ci accompagna ed è accanto a noi nelle situazioni difficili e nel tempo bello». E questa persona «non ci ha spiegato cos’è la croce, ma si è fatto inchiodare su quel legno per noi».
A DISPOSIZIONE DEL POPOLO
L’immagine del prete di Francesco è quella di un pastore scalzo e senza agenda, come ha affermato recentemente ai vescovi italiani, aprendo i lavori dell’assemblea della Cei. Un prete con l’odore delle pecore, che va a cercare la pecorella smarrita «senza farsi spaventare dai rischi» e «senza remore si avventura fuori dei luoghi del pascolo e fuori degli orari di lavoro». Nelle sue riflessioni tenute nelle tre basiliche romane e in modo particolare nella terza a San Paolo, il Papa ha più volte messo l’accento sulla disponibilità all’ascolto, anche se questo costa fatica: ho conosciuto sacerdoti «che, quando non c’era la segreteria telefonica, dormivano con il telefono sul comodino, e nessuno moriva senza i sacramenti; chiamavano a qualsiasi ora, e loro si alzavano e andavano». È la figura del Buon pastore, il cui cuore «è inquieto finché non ritrova quell’unica pecora smarrita»; e una volta ritrovata «dimentica la fatica e se la carica sulle spalle tutto contento».
Lo ripete nella sua omelia in piazza San Pietro: il cuore del pastore «non privatizza i tempi e gli spazi, non è geloso della sua legittima tranquillità, e mai pretende di non essere disturbato». Ancora, ha il cuore libero e «non vive rendicontando quello che ha e le ore di servizio; non è un ragioniere dello spirito, ma un Buon samaritano in cerca di chi ha bisogno». Il prete per Francesco è un «ostinato nel bene», non solo tiene le porte aperte «ma esce in cerca di chi per la porta non vuole più entrare».
L’ABBRACCIO DEL PADRE
Don Antonio Mastantonio è parroco a Larino, Molise, e insegna nell’università Lateranense. La prima immagine che evidenzia, nelle parole di Francesco, è quella della parabola del Figlio prodigo, di quel padre che abbraccia il figlio che è tornato tutto sporco: «È quella “vergognata dignità” che il Papa evidenzia. Questo vale anche per noi sacerdoti, peccatori tra i peccatori. Siamo un otre in cui si riversa la misericordia e, nel momento in cui avverti che sei bisognoso di misericordia, se sei un buon figlio allora sarai anche un buon padre».
Papa Francesco ricordava ai sacerdoti che «abbiamo chiesto la grazia di essere segno e strumento; ora si tratta di agire e non solo di compiere gesti, ma di fare opere, di istituzionalizzare, di creare una cultura della misericordia». I preti possono e devono chiedere «la grazia» di gustare con Cristo sulla croce «il sapore amaro del fiele di tutti i crocifissi, per sentire così l’odore forte della miseria, in ospedali da campo, in treni e barconi pieni di gente. Quell’odore che l’olio della misericordia non copre, ma che ungendolo fa sì che si risvegli la speranza».
Un prete che non coglie la necessità dell’altro non è un buon prete. Don Antonio si sofferma su un altro passaggio delle parole del Papa, il ricordo di quella preghiera davanti all’immagine della Morenita, la Madonna di Guadalupe: «Lo spazio che i suoi occhi aprono è quello di un grembo, non quello di un tribunale o di un consultorio professionale. Ecco, mi sembra che il Papa ci dica: solo chi ha occhi di misericordia come quelli di Maria è capace di essere veramente accanto agli altri».
È nella riflessione a Santa Maria maggiore che Francesco ha chiesto ai preti «di non essere impermeabili agli sguardi per non rimanere chiusi in se stessi». È l’immagine cara a Francesco, quella di una misericordia «esagerata», che «non ci dipinge dall’esterno una faccia da buoni, non ci fa il photoshop, ma con i medesimi fili delle nostre miserie e dei nostri peccati, intessuti con amore dal Padre, ci tesse in modo tale che la nostra anima si rinnova recuperando la sua vera immagine, quella di Gesù». Una misericordia che va oltre la giustizia: che non usa i guanti, ma «si sporca le mani, tocca, si mette in gioco, vuole coinvolgersi con l’altro». E l’altro non è mai un caso ma sempre una persona.



