Maturità 2025. Molto probabilmente verrà ricordata per gli episodi degli studenti – al momento quattro – che hanno deciso di fare scena muta all’orale, per protestare, dicono, contro un sistema che li considera numeri e che li valuta con numeri. La studentessa di Belluno aggiunge, inoltre, che “da parte dei docenti non c’è mai stata la voglia di scoprire la vera me”. Pronte le reazioni del mondo scolastico. Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale presidi, definisce gli episodi con la parola “esibizionismo” che non tiene conto di un esame previsto, oltretutto, dalla Costituzione. Nei social si alternano voci a favore, che mettono in luce il coraggio dei ragazzi, e voci contrarie, che fanno appello al senso del rispetto delle regole che i giovani non hanno più.

Dal mio punto di vista questo episodio è una grande opportunità per provare a comprendere come stanno i giovani e come si rapportano al mondo adulto. Al netto delle motivazioni personali e della personalità di questi ragazzi – che andrebbero conosciute per non generalizzare e non avvallare eccessi narcisistici – credo che, almeno in parte, questo fatto possa parlarci del loro tentativo inconscio di voler trasformare anche la scuola nel nido-famiglia, nel nido-mamma. Non essere più di tanto giudicati, ma capiti e conosciuti, significa crescere in un ambiente estremamente confortevole che, però, non prepara alla fatica, alla resilienza rispetto alle ingiustizie, ai fallimenti e alle correnti contrarie della vita. A ben guardare quella stessa scuola che i ragazzi contestano, così brutta e cattiva, li ha resi battaglieri, capaci di sentire l’indignazione di fronte a qualcosa che ritengono ingiusto, a qualcosa che vogliono cambiare. Forse che i difetti del sistema, qualora ci fossero, hanno permesso loro di desiderare altro? Ben vengano i limiti del sistema, allora. Ricordiamoci sempre che è la mancanza che genera il desiderio, la spinta a cambiare. L’ovatta di una scuola comoda anche alle superiori, non prepara identità, ma fragilità. Lo scarto con l’ideale non è solo e sempre qualcosa di negativo.

Con questo non voglio dire che la scuola debba essere come un sadico allenamento alla vita dura! Il giudizio, infatti, non dovrebbe mai essere dato con freddezza, ma sempre accompagnato dalla parola, cioè dalla relazione con l’insegnante. Che deve per questo essere estremamente dotato di competenze pedagogiche oltre che tecniche. La scuola deve essere umanizzante anche e soprattutto grazie alle relazioni e su questo, secondo me, i ragazzi hanno puntato i riflettori. Ricordo come arrivai, nel lontano 1998, alla fine degli esami di maturità. Cinque anni di studio “matto e disperatissimo”, in cui, lo ricordo benissimo, ho sofferto e protestato dentro di me e con gli amici, per il sistema-voti. Anch’io ho sempre vissuto male quello che vedevo come scollamento tra insegnanti e vita, tra scuola e problemi personali, tra voti e valore. Quel valore che sentivo di avere e che ad ogni 8 e 9 non riceveva il vero riconoscimento. Perché? Perché mancava la relazione. Agli insegnanti, secondo la me adolescente, non importava di conoscermi davvero. Penso che il mio sentire di allora non fosse, quindi, molto diverso dal sentire di questi ragazzi. È come un voler dire: io esisto, io ho una vita imperfetta e incasinata sulle mie spalle e nessuno di voi adulti la vede.

Questa discrepanza tra voti, esami, test e vita reale fa parte non solo delle regole del gioco scuola, ma proprio della sete di riconoscimento dei ragazzi. A questo hanno dato voce, ed è bene che lo facciano. Non sono esibizionisti, ma interpellanti, critici. Devono mantenere viva questa loro essenza. La scuola, in questo dialogo cui viene chiamata, deve rimanere adulta e asimmetrica. Educativa e mai punitiva. Ma sempre in relazione. Trovo che i professori della commissione, che hanno comunque fatto delle domande all’esame, quantomeno al ragazzo di Padova, abbiano proprio mostrato il volto pedagogico della scuola: ascolto la tua protesta, ma ti accompagno a rispettare le regole dell’istituzione di cui fai parte, perché la protesta possa ricevere contenimento e direzione.