Nel dibattito parlamentare sulla Manovra 2023 la discussione sui bonus cultura per i diciottenni si è improvvisamente surriscaldata, per una serie di proposte e modifiche del Governo che hanno innescato polemiche anche pretestuose, e soprattutto un certo disagio, per chi osserva dall’esterno. Diciamo subito che a nostro parere, al di là degli interessi di bandiera, probabilmente sarebbe stato meglio lasciare le cose così come stanno, piuttosto che alzare tutto questo polverone –per molti versi inutile. Era cruciale, cruciale, in positivo,  l’universalità della misura precedente: consideriamo quindi negativo il suo abbandono. Questo bonus era infatti attribuito a tutti i diciottenni che ne facevano richiesta, “senza se e senza ma”. Modificare questa scelta non è molto saggio, anche perché rimaneva una delle poche misure di sostegno al ciclo di vita delle persone che non era sottoposto alla tagliola dell’ISEE  o del livello di reddito. Insomma, proprio a ciascun diciottenne, per il solo fatto di entrare nella maggiore età – diventato quindi cittadino a pieno titolo, con diritto di voto e piena responsabilità civile e penale - finalmente, lo Stato offriva un sostegno, e lo offriva nella forma di un investimento in cultura, non semplicemente soldi da spendere in qualunque modo. Intervenire sul “bonus cultura 18 anni” introducendo l’ISEE è paradossale, perché trasforma questo bonus da “sostegno universalistico puro, per una cittadinanza più consapevole” ad una misura vagamente assistenziale.

Qui emerge una radicale contraddizione di logica, che riguarda sia la maggioranza che l’opposizione, soprattutto se si considera questo intervento come una misura di politica familiare – come in effetti è, perché sostenere un diciottenne significa anche aiutare i suoi genitori e il budget della sua famiglia. Ora, in tema di politiche familiari, ad esempio nell’assegno unico, i partiti della maggioranza premono per strumenti più universalistici, e vorrebbero cancellare – o almeno modificare – l’ISEE. E allora perche reintrodurlo nella riforma del bonus diciottenni?  Non pare proprio coerente… Però questa stessa incoerenza sta nei partiti dell’opposizione, che sulle prestazioni familiari (e sull’assegno unico) vogliono a tutti i costi che sia tutto a misura di ISEE, e paradossalmente per i diciottenni hanno invece costruito – e pretendono oggi - un intervento per tutti. Anche il figlio dell’italiano più ricco ha ricevuto l’anno scorso il bonus cultura: in questo caso non dà problemi, ma se si parla di assegno unico invece ci vuole l’ISEE? Su, un po’ di coerenza e di rigore mentale, in Parlamento, in entrambi i campi!

In fondo sarebbe bastato riflettere sul criterio di “semplicità” della misura, per non innescare questo dibattito: un bonus mirato a specifici prodotti/servizi di cultura, su una platea per definizione circoscritta ma universalistica (tutti i circa 400.00 nati nell’anno), e quindi con impatto facilmente controllabile, uguale per tutti, è molto meglio di un complesso e articolato sistema che prevede due distinti bonus (uno “cultura”, uno sul “merito”), condizionati entrambi a reddito, votazioni di diploma ecc. Non ci stancheremo mai di ripetere che la semplicità negli interventi della pubblica amministrazione è un fattore cruciale di partecipazione democratica; uno è un po’ meno cittadino, se ha sempre bisogno di un consulente per capire a quali prestazioni ha diritto o quanto deve pagare di tasse!

Altre questioni sono in gioco, in questo dibattito, che è utile ricordare, sia pur brevemente, in conclusione. In primo luogo la dotazione finanziaria: dalle notizie oggi disponibili erano 230 milioni per quest’anno, e sarebbero 220 milioni per il 2023, sulle due misure, “cultura” e “merito”. Quindi non sembra che sia uno scippo totale delle risorse per i giovani – però la platea si ridurrebbe sicuramente – e questa non è una buona scelta. Inoltre – dato anche peggiore – i due nuovi bonus ipotizzati, cultura ai 18 anni e “merito” con votazione 100  alla maturità, sarebbero cumulabili, in che significa che qualcuno potrebbe ricevere di più, lasciando altri senza alcun sostegno/riconoscimento. E non è affatto detto che questi “soldi in più” andrebbero a chi ne ha davvero più bisogno o li merita di più: è noto, ad esempio, che la percentuale di “100” alla maturità è decisamente più alta nelle scuole del Sud, rispetto a quelle del Nord,  in modo sicuramente non collegato al reale “merito scolastico”. Si rischia così di accentuare le disuguaglianze, anziché contrastarle.

Insomma: non c’era certo bisogno di intervenire su una misura semplice, circoscritta, chiara, rendendola complessa, selettiva, controversa. E il tempo passato a discutere su questa modifica sarebbe stato certamente meglio impiegato a discutere di una maggiore riduzione del cuneo fiscale, o di un maggior potenziamento dell’assegno unico: misure che spostano molte più risorse e fanno davvero la differenza. Speriamo solo che, alla fine, il disegno unitario della manovra risulti più agile, coerente ed efficace di questo piccolo esempio di “inutile complicazione di una questione semplice”.

 

*direttore Cisf (Centro Internazionale Studi Famiglia)