Nella notte tra martedì 7 ottobre e mercoledì 8 l’esercito israeliano ha fermato e abbordato la “Conscience”, nave principale della “Freedom Flotilla coalition” e altre otto imbarcazioni. Oltre 250 persone sono state bloccate in acque internazionali e fatte sbarcare in Israele per poi essere rimpatriate nei rispettivi paesi. Sulla “Conscience” viaggiavano perlopiù medici e operatori sanitari con il chiaro obiettivo (riconosciuto anche da Israele stesso) di portare aiuti umanitari, tra cibo e forniture mediche, a Gaza. Ma nonostante diverse leggi specifiche -come la IV Convenzione di Ginevra (1949), il Protocollo aggiuntivo del 1977, lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, ma anche il più recente Manuale di Sanremo 1994 - a tutela dei naviganti, ancora una volta il blocco navale israeliano ha prevalso. Francesca De Vittor, docente di diritto internazionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano, prova a chiarire l’illegittimità delle azioni dello stato israeliano.

Professoressa De Vittor conferma che Israele ha commesso un’ennesima violazione del diritto internazionale?
«Sì. Israele di fatto sta violando tutto. Questo secondo blocco è di nuovo illegittimo come lo era il primo. Questo lo dico subito, ma forse serve capire innanzitutto cosa è e quando è legittimo un blocco navale».

Prego.
«Il blocco navale esiste nel diritto internazionale di guerra ed è disciplinato nell'ambito dei conflitti internazionali. Quindi qui andrebbe già aperta tutta una pagina per ragionare se quella tra Israele e Palestina è veramente una guerra o un’occupazione. Comunque con blocco navale si intende il fatto che, durante un conflitto, una delle parti in causa possa voler controllare tutte le navi passanti in una certa area di mare, per timore che stiano portando armi all’avversario. Il 3 gennaio 2009 Israele ha istituito il blocco navale intorno a Gaza, ma lo ha fatto nella sua volontà di isolare completamente la striscia di Gaza. E pertanto, come sottolineano gli articolo 102 e 103 del Manuale di Sanremo sul Diritto internazionale redatto dalla Croce Rossa e applicabile ai conflitti armati, l'istituzione di un blocco navale è vietata se ha il solo scopo di affamare, di creare una carestia per la popolazione civile o di negare l'arrivo di oggetti e beni essenziali per la sopravvivenza della suddetta popolazione».

Possiamo dire dunque che Israele agisce deliberatamente in tal senso?
«Israele stessa ha ammesso che soprattutto su questa seconda ondata di navi della Flotilla ci sono solo aiuti umanitari e forniture mediche. Ma opera comunque il blocco perché in ogni caso queste navi vorrebbero portare soccorso ai palestinesi. E questo è contrario al loro progetto. La funzione vera di questo blocco è proseguire nell'assedio di Gaza, affamando i civili. È anche quello, che fin dall'ottobre 2023, è stato dichiarato dal governo: “Non una goccia d'acqua, non una goccia di cibo, niente entrerà in Gaza”. Quindi si sta utilizzando la carestia come arma di guerra e questo è anche un crimine internazionale. Israele d’altronde non riconosce il Protocollo aggiuntivo del 1977 e neanche lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Però ha ratificato le Convenzioni di Ginevra che tutelano sempre l'attività del personale medico. È bene sottolineare questo in relazione alla situazione odierna che ha visto dei medici fermati. E nel 1951 ha ratificato la Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Delitto di Genocidio. Ma nonostante questo ora nelle sue azioni c’è uno scopo genocidario».

Queste ratifiche oggi non sembrano avere grosso peso.
«No, assolutamente. Israele nel 1951 ha accettato gli obblighi di prevenzione e repressione del genocidio, prima fra tutto il fatto di non commetterne uno. Ma poi anche di evitare che venga commesso e di punire chi eventualmente lo commetta. E ora questo blocco è in sé illegittimo anche in quanto fa parte di una campagna che realizza un genocidio. Israele sta violando le basi della scienza internazionale come l'abbiamo pensata da dopo la Seconda Guerra Mondiale».

Come incide, invece, la questione dell’abbordaggio in acque internazionali?
«Questo è un altro aspetto significativo. L’operazione di mercoledì oltre ad essere illegittima è stata fatta pure in acque internazionali. Il blocco navale ha delle coordinate precise, che Israele nel 2009 ha riferito a tutti gli altri stati. In acque internazionali l'unico stato che può fare qualcosa su una nave che batte la propria bandiera è appunto lo stato di bandiera. Gli altri, se vogliono fare qualcosa, devono chiedere l'autorizzazione a questo stato. Ed è inutile dire che nessuna nave della Freedom Flotilla batte bandiera israeliana».

Quindi gli stati di bandiera, tra cui l’Italia, hanno precise responsabilità e doveri?
«Ciò che ho detto finora fa tutto parte del diritto internazionale consuetudinario. L’Italia e ogni altro paese dovrebbero tutelare in ogni modo le persone che stanno sulle proprie navi. Senza frasi ambigue che spesso si sentono. Io poi vorrei sottolineare che la Corte internazionale di giustizia, non di certo un tribunale di poco conto, il 19 luglio 2024 ha detto che Israele non ha diritto di stare su quei territori. Inoltre ha valutato tutti i crimini commessi da Israele nell'occupazione e tutta l'illegittimità nella violazione del diritto del popolo palestinese alla propria autodeterminazione. E l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 13 settembre 2024, ha emanato una risoluzione nella quale evidenzia che Israele se ne deve andare dai territori occupati entro dodici mesi. Questi mesi sono scaduti il 13 settembre 2025. L’Italia aderisce alla Corte e alle Nazioni Unite e quindi dovrebbe mettere in pratica una serie di mosse specifiche. Dal richiamare l'ambasciatore, fino ad interrompere i rapporti commerciali o diplomatici».