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Donald Trump, 70 anni compiuti a giugno, nato a New York, dove un lussuoso grattacielo sulla Quinta Strada porta il suo nome. Una capigliatura sospetta che da anni scatena comici televisivi e vignettisti. Tre matrimoni con donne belle e vistose, due divorzi, cinque figli. Imprenditore nel settore immobiliare (da noi si direbbe un palazzinaro) e televisivo. Una dichiarazione dei redditi lacunosa e sospetta. Anche se non diventa presidente, Trump il miracolo lo ha già fatto. In pochi mesi è riuscito a sbaragliare gli altri 16 candidati repubblicani che puntavano alla nomination. La sua, all’inizio della campagna, pareva solo un’azione di disturbo, il capriccio di un miliardario megalomane e guastafeste. Invece, uno alla volta, Trump ha fatto fuori gente del calibro di Jeb Bush (figlio e fratello di un presidente), governatori, senatori, ex governatori. Un ciclone. Trump in questi mesi ha parlato alla pancia dell’America, evocando pericoli, usando toni da Paese in guerra, sotto assedio. Nel mondo di Trump, che ha l’insulto facile, non ci sono sfumature. I musulmani? Tutti potenziali terroristi. Gli immigrati? Una minaccia da tenere fuori di casa con un muro al confine con il Messico da far pagare ai messicani. Putin? Un grande leader. Hillary? Una donna pessima. Obama? Un disastro e forse non è neppure un vero americano. Senza dimenticare quello che ha detto delle donne, come gli ha ricordato la stessa Hillary Clinton durante uno dei faccia a faccia televisivi delle scorse settimane. Se perde, molti repubblicani tireranno un sospiro di sollievo. Avranno il tempo per cercarsi un candidato decente da presentare fra quattro anni.



