La linea di partenza è stata oltrepassata il 7 maggio scorso, nelle scuole elementari. Il 14 maggio la prova Invalsi è arrivata in prima media e il 16 in seconda superiore. Giugno è il mese del traguardo, l’esame di Stato di terza media il luogo d’arrivo. Il test non è solo il più temuto dai ragazzi, ma è quello che più di ogni altro divide gli insegnanti in blocchi contrapposti, favorevoli da una parte contrari dall’altra. La prova Invalsi è stata Istituita nel 2007, prende il nome dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di istruzione e Formazione che la predispone, ed è uguale in tutta Italia.
Quest'anno arriva tra i banchi lunedì 17 alle 8,30 del mattino: 75 minuti dedicati ai quesititi di Italiano e altrettanti a quelli di matematica. Nessun docente delle due materie può essere presente e nessun docente della classe può fare sorveglianza: niente suggerimenti, nemmeno incroci di sguardi. Si raccomanda, poi, che la prova avvenga in un locale adeguato, possibilmente in corridoio si scrive, per consentire che i banchi siano disposti a conveniente distanza.
«Ritengo che offra l’occasione di una riflessione costruttiva sul proprio insegnamento e che, attraverso il Quadro di riferimento delle prove Invalsi (un documento che esplicita i punti di riferimento concettuali e i criteri operativi utilizzati nella costruzione delle prove, ndr) fornisca la proposta di una didattica finalizzata a superare gli aspetti e i livelli di criticità», spiega Luisa Mangiagalli, docente di Lettere e quest’anno presidente di commissione dell’esame di Stato in una scuola media di Milano. E prosegue: «Ritengo positiva, inoltre, la rilevazione dei dati confrontabili su scala nazionale e la possibilità di far emergere anche le eccellenze in una scuola che si spende legittimamente per l’inclusione di tutti e di ciascuno».
Avrebbe più senso che si svolgessero test differenziati». Adriana Cometti, vicepreside, allarga la prospettiva: «L’Invalsi dovrebbe misurare i livelli di apprendimento degli studenti con lo scopo di individuare quali interventi specifici si rendono necessari per migliorare l’offerta formativa. In realtà l’unico effetto che ha è creare una malsana competizione tra le scuole. Così come è oggi, obbligatoria in tutta Italia e rigidamente strutturata, non tiene minimamente conto delle differenze tra istituti, soprattutto rispetto ai livelli di partenza degli alunni. Se è necessario, forse sì, avere un’idea dei livelli di apprendimento della scuola italiana (ma non solo in italiano e matematica) questi si possono rilevare su base campionaria: non siamo forse nell’epoca dei sondaggi “scientifici”?».
La tendenza, però, va da un’altra parte: le prove arriveranno anche alla Maturità, con una valenza di orientamento post scolastico, universitario. «Nelle seconde superiori sono strutturate in modo intelligente, l’impostazione è corretta anche dal punto di vista del lavoro scolastico: in seconda liceo tutti dovrebbero poter comprendere un testo dal punto di vista lessicale e del senso e dovrebbero possedere adeguate competenze grammaticali», spiega Silvia Macchi, docente di Italiano e Latino all’Istituto di Istruzione Superiore Nicola Moreschi di Milano. Per il futuro, aggiunge: «In quinta superiore? Sì, meglio l’Invalsi dell’esame di maturità, dove sono presenti elementi soggettivi e commissioni diverse in ogni scuola italiana. L’Invalsi garantirebbe un dato di maggiore oggettività e un orientamento, valido, per la scelta universitaria».
Ma per quest’anno, ancora, solo qualche polemica, niente paura: la partenza, per i maturandi, è prevista a pieno regime soltanto nel 2015.


