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È una storia tristissima quella del professore campano che ha tentato il suicidio dopo aver pubblicato sui propri social invettive piene di odio contro la premier, spostando parole offensive e minacce dal target diretto (ovvero la premier) al target indiretto (ovvero la figlia).
Questa vicenda ci mostra come - dentro al web - noi diventiamo la versione peggiore di noi stessi. Clicchiamo sui tasti senza riflettere. Le dita viaggiano più veloci dei pensieri che le dovrebbero muovere. La tastiera funziona in questo modo: ti fa fare le cose appoggiandosi alla parte della tua mente che non pensa, ma agisce. Una volta nel web, noi diventiamo “altro da noi”. Scriviamo, ingiuriamo, attacchiamo, offendiamo, minacciamo: la definizione “leoni da tastiera” ci si addice in toto. Perché protetti dallo schermo che ci impedisce di guardare l’altro negli occhi, ci sentiamo capaci di dire tutto, di fare tutto. E non è un caso che l’online fa risorgere dai nostri meandri più profondi quella parte di noi che nella vita ordinaria teniamo a bada, addomestichiamo, sentiamo che esiste, ma non facciamo agire.
La differenza tra vita reale e vita virtuale è tutta qui: nella vita reale ci metti la faccia. Quindi, in automatico, ti obblighi a mettere in gioco la parte di te più evoluta, quella che pensa prima di agire. Lo fai, perché intorno a te ci sono gli altri, con i loro sguardi, il loro “ingombro corporeo”, la loro presenza che funziona – automaticamente – da freno inibitore all’espressione incontrollata delle emozioni, perché obbliga a riconoscerle e regolarle, impedendo che vengano espresse in modo bestiale.
Il professore campano si è accorto solo dopo aver pubblicato ciò che ha pubblicato di quanto tremendo fosse il suo messaggio. Travolto dall’indignazione di un pubblico enorme trasformatosi a sua volta in “leone da tastiera”, si è visto sommergere dalla stessa ondata di odio di cui egli stesso era diventato promotore. Il target delle offese e delle minacce si era spostato. Le parole lanciate come pietre verso un’altra persona, gli tornavano addosso con tutto il loro peso. Vergogna, dolore, paura, ansia, inadeguatezza: chi sa quante emozioni si sono accese tutte in un colpo. Quella potenza assoluta, fomentata dallo schermo che ti fa sentire capace di tutto, è diventata impotenza e autolesività.
Questa notizie ci colpisce molto perché siamo abituati ad attribuire queste dinamiche ai giovanissimi, non ad adulti “fatti e finiti”, per giunta con autorevoli ruoli educativi nelle vite di quegli stessi giovanissimi che spesso condanniamo per ciò che vivono, fanno e sono nell’online.
Il virtuale non è reale, ma ciò che fai li dentro ha conseguenze enormi per la tua vita reale. E per quella degli altri. Il caso del professore campano ce l’ ha raccontato in tutta la sua drammatica verità. A lui auguriamo di riprendersi e di trasformare il proprio errore non in spinta autolesiva (che aggiungerebbe solo dolore a dolore) ma in occasione per raccontare al mondo quanto sia importante pensare prima di postare. Ma soprattutto che, nella vita, conviene essere costruttori di pace. E non di odio.



