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Il tema della cittadinanza “più semplice” per gli stranieri nel nostro Paese resta un tema, nonostante gli esiti del referendum.
Un tema malposto in un quesito mescolato a grappolo con altri di diverso contenuto; malposto in un referendum, perché la democrazia diretta non può sostituire quella rappresentativa e al Parlamento di eletti toccano le scelte politiche.
Però bisogna avere il coraggio di farle, le scelte, affrontando i temi.
Credo che quello della cittadinanza non riguardi soprattutto il tempo necessario per acquisire un documento, tempo che varia nei diversi Paesi europei (anche qui: un’Europa unita potrebbe dotarsi di norme uguali, se l’Europa fosse un soggetto politico), e penso che non si tratti anzitutto di convenienza:
Abbiamo bisogno di lavoratori, lo chiede il tessuto delle piccole e medie aziende, agricole e non, che sono il motore della nostra economia.
Abbiamo bisogno di bambini, di giovani, dato che siamo i più vecchi al mondo e il nostro sistema pensionistico non regge più.
Servono nuovi italiani. E per essere italiani c’è una necessità prioritaria: sapere l’italiano, conoscere lingue e costituzioni, leggi e abitudini dell’Italia. Ovvero è necessario studiare qui, frequentare la scuola.
Dieci anni di scuola, se realmente frequentata (e tutti devono essere messi in condizione di poterlo fare) fanno di qualunque ragazzo e ragazza un cittadino.
Per questo ragionare sullo Ius Scholae è urgente e dovrebbe vedere l’impegno concreto di tutte le forze politiche, sociali e culturali.
La scuola oltretutto toglie tanti giovani dall’anonimato, dall’indifferenza, dalla strada, dove troppi ragazzini finiscono nelle grinfie delle diverse criminalità.
Più scuola, più integrazione, più assistenza medica e psicologica e un legame con le famiglie, che genera unità, fiducia e allontana i pregiudizi, i sospetti, le paure.
Più scuola vera però, non abborracciata con corsi ultrarapidi che non permettono un inserimento in classe e costringono i poveri insegnanti ai salti mortali per svolgere un programma minimale, abbassando ulteriormente il livello di istruzione.
Però gli insegnanti appassionati fanno miracoli e anche gli studenti, se si sentono voluti bene, rispondono con altrettanti miracoli.
La cittadinanza immediata dopo dieci anni di scuola non è una facile scorciatoia, perché studiare e far studiare costa. L’aggettivo immediata comporta uno sveltimento della burocrazia elefantiaca che frena in ogni ambito il nostro Paese.
Lo Ius Scholae dunque è conveniente, per i motivi già detti. Ma soprattutto è un fatto di giustizia: parliamo di persone, non di numeri. Persone con storie complesse, se hanno lasciato la loro terra e i loro familiari per venire da noi. Sfuggite alla guerra, alle persecuzioni o alla povertà.
Apertura e accoglienza sono parole vuote se non si traducono in una vita dignitosa, in un futuro lavorativo e familiare stabile.
Il primo modo per favorirli è la conoscenza, lo studio, che rende l’uomo libero e cittadino.
(foto in alto: iStock)
In collaborazione Credere
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