Per gentile concessione di Studi Cattolici pubblichiamo, in occasione del centenario della nascita, l'articolo dedicato a Bob Kennedy di Sandro Calvani, presidente del Consiglio scientifico Giuseppe Toniolo per il diritto internazionale della pace, ex diplomatico e dirigente della Caritas e di diversi organi delle Nazioni Unite. E' inoltre docente in università asiatiche e scrittore. Ha vissuto e lavorato in 135 Paesi del mondo. www.sandrocalvani.it

 

di Sandro Calvani

 

A partire dal 2016, vediamo emergere nel mondo una nuova politica estera spesso descritta come un’opposizione al multilateralismo tradizionale, che invece emerse e prevalse in tutta la seconda metà del secolo scorso, dopo la Seconda guerra mondiale. La visione di Robert F. Kennedy ispirò e fu ispirata in gran parte dai principi umanisti espressi nello Statuto delle Nazioni Unite, firmato ottant’anni fa con un grande consenso globale, interreligioso e interculturale a San Francisco nella prima Assemblea delle Nazioni Unite. L’inversione di marcia anti-multilateralista che emerge nel 2025 affonda le sue radici in una visione del mondo nazionalista e transazionale. La politica transazionale (basata sulle transazioni) è quella che si considera libera da ogni vincolo internazionale, che orienta ogni accordo o decisione al tornaconto specifico di una nazione in ogni transazione, senza prestare alcuna attenzione all’etica globale umanista e agli interessi di altri popoli.

Inoltre, gli interessi di una nazione che si ritiene più importante delle altre vengono comunque definiti in termini ristretti, spesso economici e di sicurezza, rispetto agli impegni nei confronti di istituzioni, leggi e azioni collettive internazionali. Questo approccio può essere elaborato in alcune aree specifiche nelle quali si manifesta in forma più evidente. Esse includono - senza ordine di importanza, né pretesa di completezza - le seguenti questioni.

Multilateralismo e istituzioni internazionali: la politica antimultilateralista guarda con profondo scetticismo a diverse organizzazioni multilaterali (ad esempio, le Nazioni Unite, l'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)). Esse sono spesso considerate burocratiche, inefficienti e lesive della sovranità degli Stati Uniti, pur non esistendo prove in tal senso. I sostenitori di questa visione sostengono che questi organismi consentono ad altre nazioni, in particolare a rivali dell’Occidente o dell’ “Emisfero Nord globale e capitalista”, come la Cina, di trarre vantaggi a spese dell'America e dell’Europa

Azioni antagoniste contro il multilateralismo: azioni come il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall'OMS, il blocco delle nomine all'organo d'appello dell'OMC e la minaccia di ridurre i finanziamenti alle Nazioni Unite (ONU) puntano non solo a sottolineare una totale autonomia della sovranità nazionale dagli accordi internazionali previamente sanciti e ratificati dal parlamento, ma tendono anche a danneggiare e “congelare” il più possibile le decisioni sovrane di collaborazione prese da altre nazioni. 

Dismissione del diritto internazionale: il diritto internazionale non è visto come un quadro di riferimento per il reciproco beneficio e l'ordine globale, ma come un potenziale limite alla libertà di azione degli Stati Uniti. I trattati e le decisioni giuridiche internazionali sono considerati secondari o irrilevanti rispetto al diritto interno e agli interessi sovrani degli Stati Uniti.

Azioni antagoniste contro il diritto internazionale: il ritiro dall'accordo sul nucleare iraniano (JCPOA) e dall'accordo di Parigi sui cambiamenti climatici sono esempi che denunciano il non riconoscimento del diritto internazionale previamente sancito. Non si trattava di trattati tradizionali, bensì di impegni politici, e il ritiro ha segnato il rifiuto degli accordi negoziati a livello internazionale a favore di un processo decisionale unilaterale. Gli Stati Uniti si sono inoltre ritirati dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU e hanno criticato e denunciato la Corte penale internazionale (CPI), perfino attraverso sanzioni personali contro i giudici della CPI. Nell’Agosto 2025 gli Stati Uniti hanno rifiutato il visto di ingresso alla delegazione della Palestina all’Assemblea generale dell’ONU, che si svolge ogni anno in settembre e ottobre. Tale azione è manifestamente illegale ai sensi del diritto internazionale, perché ogni nazione che ospita una sede ONU si impegna a permettere l’accesso dei leaders di altri paesi membri. In passato perfino arci-nemici degli Stati Uniti come Fidel Castro e gli ayatollah iraniani hanno partecipato e parlato all’Assemblea Generale dell’ONU.

Risoluzione non cooperativa dei problemi internazionali: la preferenza si sposta dalle soluzioni collettive basate sulla diplomazia agli accordi bilaterali e all'utilizzo del potere economico e militare degli Stati Uniti. I problemi vengono spesso inquadrati come giochi a somma zero, in cui è necessaria una chiara, o almeno apparente, "vittoria" americana .

Azioni antagoniste contro la risoluzione cooperativa dei problemi internazionali: invece di ampie conferenze di pace, l'attenzione si è concentrata sui negoziati bilaterali, come quelli con la Corea del Nord o la mediazione degli Accordi di Abramo tra Israele e diverse nazioni arabe. Le alleanze come la NATO sono viste come transazioni, con un'enfasi sulla "condivisione degli oneri" piuttosto che sul principio di sicurezza collettiva.  Gli alleati degli Stati Uniti devono spendere di più per la difesa e acquistare armamenti di produzione americana senza ottenere in cambio una garanzia di protezione militare da parte degli Stati Uniti.

Mantenimento delle disuguaglianze e ignavia sullo sviluppo sostenibile: le disuguaglianze globali e gli obiettivi di sviluppo sostenibile, cooperativo e inclusivo (compresi gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU) sono considerati secondari rispetto alle priorità economiche nazionali. La filosofia di fondo è che un'America forte e prospera rappresenti il miglior contributo che gli Stati Uniti possano dare al mondo. Gli aiuti internazionali vengono ridotti o riorientati a favore degli interessi strategici statunitensi diretti e a breve termine, piuttosto che dello sviluppo globale a lungo termine. Gli Stati Uniti continuano a offrire collaborazione su problematiche internazionali che rimangono comuni, come per esempio il controllo internazionale del narcotraffico, della corruzione, della criminalità organizzata, solo se le risoluzioni e i programmi concordati non fanno alcun riferimento allo sviluppo sostenibile, né alle disuguaglianze crescenti che sono spesso la causa delle stesse problematiche.

Pace più armata: la pace si persegue principalmente attraverso la forza e la deterrenza, un concetto spesso definito "pace attraverso la forza". Questo approccio è scettico nei confronti dell'idea che la cooperazione internazionale e la comprensione reciproca siano i principali motori della pace, favorendo invece un esercito forte e la volontà di usare la pressione economica (ad esempio, dazi e sanzioni economiche) per costringere gli avversari a rinunciare alle loro aspirazioni per paura di ritorsioni.

Problematiche ambientali in sordina: le sfide ambientali globali, come il cambiamento climatico, sono spesso minimizzate o viste attraverso la lente deformante della competitività economica. Accordi internazionali come l'Accordo di Parigi sono visti come un'imposizione di oneri economici ingiusti agli Stati Uniti, che consentirebbero a paesi concorrenti di continuare a inquinare. Non esistono prove, nemmeno solo asserite, di tali dinamiche, che però vengono divulgate lo stesso, anche nell’educazione secondaria e non solo nelle consultazioni internazionali. L'attenzione è rivolta all'indipendenza energetica nazionale, spesso privilegiando i combustibili fossili, piuttosto che alla cooperazione globale per un ambiente sostenibile attraverso fonti di energia rinnovabili.

Riduzione dei diritti umani: la promozione dei diritti umani diventa selettiva. Pur essendo utilizzati come strumento per condannare gli avversari (ad esempio, Cina, Iran, Venezuela), le violazioni dei diritti umani da parte di alleati o partner strategici vengono spesso trascurate a favore della stipula di accordi economici o di sicurezza anche contro i diritti dei migranti e dei rifugiati. Questo segna un distacco dalla tradizionale (sebbene non sempre coerente) posizione statunitense di promuovere la democrazia e i diritti umani come pilastro della propria politica estera.

Contraddizioni delle policy moderne sovraniste e suprematiste rispetto alla visione di Robert F. Kennedy

La visione di Robert F. Kennedy (RFK), articolata con forza negli anni '60, si contrappone nettamente, quasi in modo speculare contrario, alla dottrina "America First". La filosofia di RFK si fondava sull'idealismo morale, sull'empatia e sulla fede in un'umanità comune.

 

Principio

La visione di Robert F. Kennedy

Dottrina "America First"

 

 

 

Visione del mondo

 

Una comunità di nazioni:

RFK vedeva il mondo come interconnesso, convinto che "ciò che facciamo nel nostro Paese, ciò che facciamo nelle nostre vite, ha un effetto diretto sul resto del mondo". Sosteneva l'idea di un obbligo morale nei confronti della comunità globale.

 

Un'arena di concorrenti: il mondo è visto come un insieme di stati sovrani in competizione per ottenere vantaggi. L'obbligo primario è nei confronti dei propri cittadini e le relazioni internazionali sono fondamentalmente transazionali.

 

 

 

 

Diritti umani e giustizia

 

Universale e indivisibile: nel suo famoso discorso "Ripple of Hope" in Sudafrica (1966), RFK affermò che ogni atto per la giustizia "genera una piccola onda di speranza". Considerava la lotta per i diritti civili negli Stati Uniti inscindibile dalla lotta contro l'apartheid e l'ingiustizia in tutto

 il mondo.

 

Selettivi e transazionali: i diritti umani sono uno strumento di politica estera da utilizzare contro gli avversari, ma possono essere trascurati nei rapporti con gli alleati o per ottenere vantaggi economici. La sovranità viene invocata per respingere le critiche internazionali alle politiche interne.

 

 

 

 

Diritto e cooperazione internazionale

 

Essenziale per la pace: RFK era un ex Ministro della giustizia che credeva profondamente nello stato di diritto, sia a livello nazionale che inter-nazionale. Considerava il diritto e le istituzioni internazionali strumenti vitali per prevenire la guerra e  promuovere soluzioni pacifiche.

 

Un vincolo alla sovranità: il diritto e gli accordi internazionali sono visti come potenziali limiti al potere e alla libertà degli Stati Uniti. La preferenza va ad azioni unilaterali o accordi bilaterali in cui l'influenza degli Stati Uniti sia massimizzata.

 

 

 

Disuguaglianza e sviluppo

 

Una crisi morale: RFK criticò notoriamente il Prodotto Nazionale Lordo (PNL) perché misurava tutto "tranne ciò che rende la vita degna

di essere vissuta". Era molto preoccupato per la povertà e per le disuguaglianza, sia in patria che all'estero, considerandole un fallimento morale che minacciava

la stabilità e la pace

 

Una priorità interna: la povertà globale è considerata un problema che deve essere risolto da altre nazioni. L'attenzione è rivolta alla crescita economica nazionale, nella convinzione che questa sia la responsabilità primaria del governo. Gli aiuti esteri sono uno strumento di politica estera, non un imperativo morale.

 

 

 

Pace

 

Raggiunta attraverso la comprensione: RFK credeva che la pace richiedesse empatia e un sincero sforzo per "vedere il mondo attraverso gli occhi dell'altro". Si batteva per la diplomazia, il controllo degli armamenti e la de-escalation, in particolare dopo il trauma della crisi missilistica cubana.

 

Ottenuta attraverso la forza: la pace si mantiene grazie a una schiacciante potenza militare ed economica. La diplomazia è spesso un mezzo per comunicare le richieste, e lo scetticismo nei confronti degli avversari è radicato.

 

In estrema sintesi, la visione di politica estera di RFK era idealistica e rivolta al mondo esterno, basata sulla premessa che la leadership morale dell'America fosse importante quanto la sua potenza militare. L'approccio "America First" è pragmatico, nazionalista e introspettivo, basato sulla premessa che gli interessi degli Stati Uniti siano meglio tutelati svincolandosi dagli impegni globali.

Le ragioni del grande cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti

Un cambiamento così radicale non avviene nel vuoto. È il risultato di diverse tendenze a lungo termine e di catalizzatori a breve termine. Queste tendenze comprendono le seguenti.

"Stanchezza della guerra" nell'opinione pubblica: decenni di interventi militari prolungati e costosi in Afghanistan e Iraq, basati su convinzioni errate e evidenze false con risultati ambigui, hanno creato una profonda avversione dell'opinione pubblica verso gli impegni con l'estero. Ciò ha generato una nuova simpatia per una politica estera meno interventista, più indifferente e disimpegnata negli scenari internazionali e rifocalizzata sulla "costruzione della nazione in patria".

Dislocazione economica e globalizzazione: per molti americani, in particolare nel cuore industriale del paese, la globalizzazione non ha mantenuto le sue promesse. I lavoratori hanno subito perdite di posti di lavoro a causa dell'automazione e dello spostamento della produzione verso paesi con manodopera più economica. Questo ha creato una narrativa potente secondo cui gli accordi commerciali internazionali (come il NAFTA e il TPP) e l'ascesa della Cina avrebbero danneggiato i lavoratori americani; ciò rende il nazionalismo economico un messaggio politicamente potente, che scarica ogni responsabilità sulle politiche diverse dal primatismo; sono ragionamenti facili da esporre e da comprendere e adatti ad aizzare gli incompetenti e mal informati contro qualsiasi innovazione. Tale mimetizzazione del nazionalismo permette anche di nascondere efficacemente il risultato della rinuncia alla ricerca e sviluppo industriale, che ha reso quasi tutte le tecnologie americane irrimediabilmente arretrate e costose rispetto a quelle di altri paesi, soprattutto asiatici. .

Oneri internazionali percepiti falsamente come ingiusti: è emersa una crescente convinzione che gli Stati Uniti stessero sostenendo una quota ingiusta dell'onere finanziario e militare per la sicurezza globale. Alleanze come la NATO sono state descritte come accordi in cui gli Stati Uniti pagavano per difendere le ricche nazioni europee, consentendo loro di spendere di più in programmi sociali. Questa visione transazionale ha trovato riscontro in molti elettori. La stessa falsificazione viene applicata all’aiuto allo sviluppo e alla lotta alla povertà mondiale; in questo caso, la maggioranza dei cittadini americani è convinta che il loro aiuto allo sviluppo sia in testa alle classifiche mondiali. In realtà, se misurato in contributi pro-capite, l’aiuto americano è quasi l’ultimo in classifica tra i paesi ricchi, poco più dell’Italia, che è l’ultima assoluta (v. grafico a barre).

Ascesa del nazionalismo populista: il cambiamento negli Stati Uniti è parte di una tendenza globale. La crisi finanziaria del 2008 ha eroso la fiducia nelle élite politiche ed economiche consolidate. Ciò ha creato un'opportunità per i leader populisti che hanno sfidato "l'ordine internazionale liberale" e le sue istituzioni, presentandoli come strumenti di un'élite globale distaccata che ignorava le preoccupazioni dei cittadini comuni.

Dinamiche di potere in evoluzione: è finito il "momento unipolare" post-Guerra Fredda, in cui gli Stati Uniti erano l'egemone globale indiscusso. L'ascesa della Cina come concorrente quasi alla pari ha radicalmente modificato il panorama strategico. Ciò ha portato a un importante dibattito negli Stati Uniti. Il nuovo dilemma è se sia meglio affrontare questa nuova realtà rafforzando l'ordine multilaterale basato sulle alleanze per contenere la Cina, oppure riducendo i costi di tale ordine per competere più agilmente su base unilaterale o bilaterale. La dottrina "America First" è la risposta proposta da quest'ultima scuola di pensiero.

In conclusione, la recente opposizione del governo statunitense al multilateralismo rappresenta un rifiuto fondamentale del consenso post-Seconda guerra mondiale che ha guidato la politica estera americana per oltre 70 anni. È in aperta contraddizione con la visione idealistica e basata sulla cooperazione di leader come Robert F. Kennedy ed è alimentata da profondi cambiamenti economici, politici e sociali negli Stati Uniti e in tutto il mondo.