Anche se entrambi sono di Torino e la loro vita è stata segnata dalla tragedia dell’Heysel, Nereo Ferlat e Fabrizio Landini prima di oggi si sono visti solo una volta di sfuggita. Nereo, bancario in pensione, è uno dei sopravvissuti alla strage, mentre Fabrizio ha perso suo zio Gioacchino, ristoratore, morto a 49 anni.

Seduti al tavolino di un chiosco di fronte all’ex stadio Comunale dove entrambi hanno visto decine di partite della Juve, raccontano la loro storia. Nereo: «Sono andato a vedere la finale con un amico. Il 28 maggio siamo partiti con un autobus dello Juventus Club. A Bruxelles per andare allo stadio abbiamo preso la metro e lì abbiamo trovato alcuni tifosi inglesi: erano tranquillissimi, abbiamo pure scambiato due parole con loro». Fabrizio: «Mio zio partì da solo. Il suo biglietto non era nel settore Z. Forse a Bruxelles lo ha scambiato per poter stare insieme a qualcuno che ha incontrato lì».

Nereo: «Entrati allo stadio, ci siamo diretti nel settore Z indicato sui biglietti, quello riservato ai tifosi “neutrali”. Infatti, accanto a noi, c’erano belgi, francesi e bambini che giocavano». Oltre due fragilissime reti, poi divenute tristemente note come “chicken wires”, reti da polli, c’erano invece i tifosi del Liverpool e Nereo vide questa scena: «Da un cantiere abbandonato gli inglesi facevano rifornimento di pietre e pezzi di legno. Il tutto sotto lo sguardo di quattro-cinque poliziotti che non facevano nulla».

Fabrizio, intanto, a Torino, si preparava a vedere la partita con la moglie e i figli: «I miei zii con i miei cugini abitavano accanto a noi. Zio Gioacchino aveva chiamato all’arrivo a Bruxelles per dire che il viaggio era andato bene». D’improvviso la festa diventa dramma. Nereo: «Un razzo è esploso a pochi metri da me. Subito dopo gli inglesi hanno distrutto le reti e hanno iniziato a caricarci. Attaccavano e indietreggiavano, a ondate». Presi dal panico, i tifosi del settore Z hanno prima cercato di raggiungere la minuscola uscita posta in alto e poi si sono diretti in basso, provando a raggiungere il campo. Qui però hanno trovato le manganellate dei poliziotti a cavallo, che non avevano compreso nulla della situazione. Così si sono ammassati contro il muretto che separava il settore dalla tribuna cercando di scavalcarlo. Nereo: «Ero così schiacciato che non respiravo più e ho pensato: “La prima volta che vado all’estero ci lascio le penne”. Ho chiesto aiuto a padre Pio e poco dopo, come se fossi stato un tappo di champagne, mi sono ritrovato sopra le teste degli altri e poi a terra, sulle gradinate. Ho iniziato a scendere e, nel farlo, purtroppo non ho potuto evitare di calpestare persone a terra. Da allora vivo con l’incubo di aver contribuito a causare la morte di qualcuno. Alla fine sono arrivato in campo e una crocerossina mi ha dato da bere. Mi sono inginocchiato e ho fatto il segno della Croce. Poi ho pensato che dovevo far sapere alla mia famiglia che ero vivo. Così mi sono diretto verso la tribuna stampa. Ho riconosciuto il telecronista di Torino Carlo Nesti e l’ho implorato: “Carlo, aiutami!”. Nesti mi ha dato le sue mani e così sono salito. Lì ho trovato Bruno Pizzul, che quella sera fu eccezionale, e un altro giornalista di una radio torinese. Gli chiesi se poteva dire per radio che mi aveva visto e che stavo bene. Lui accettò: così per tutta la notte mia moglie ricevette telefonate di ascoltatori che avevano sentito il suo messaggio e la rassicuravano».

A casa Landini, invece, non c’era modo di conoscere la sorte di Gioacchino. Fabrizio: «In Tv vedevo l’immagine degli scontri e speravo che mio zio fosse da un’altra parte. Il numero che scorreva in sovrimpressione per avere informazioni era sempre occupato. Finché in piena notte fui svegliato da un urlo: era mia zia. Una troupe televisiva le aveva detto che lo zio era morto. Lo seppe così. Sul certificato che ci arrivò c’era scritto: morte per schiacciamento. Da allora né lei né i suoi figli hanno mai voluto parlare di questa storia. Lo faccio io perché credo che sia importante coltivare il suo ricordo e quello delle altre vittime. Non ho condiviso tutto ciò che ha fatto la Juve in questi anni, ma ora è molto importante inaugurare questo memoriale insieme». 

Foto di Paolo Siccardi