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Ci sono film che, giorno dopo giorno, proiezione dopo proiezione, acquisiscono contorni nuovi e sempre più definiti, fino a diventare per pubblico e critica capolavori certi. È una questione di tempo; e in questo caso il tempo è il vero protagonista di un film oggi considerato un capolavoro. Trent’anni fa, il 17 febbraio 1984, si proietta in anteprima a Boston e a New York, C’era una volta in America, film destinato a diventare uno dei più importanti del cinema moderno, oltreché uno dei più discussi e travagliati lavori artistici dell’epoca contemporanea. La questione-tempo è decisiva fin da prima che Leone possa lavorarvi.
Il regista, infatti, impiega più di dieci anni per scrivere la sceneggiatura definitiva. E anche i tempi di lavorazione sono tra i più lunghi, ben nove mesi, passati tra Roma, New York, Venezia, il lago di Como, Parigi, Miami, Montreal. Una lavorazione per eccessi, magniloquente e sproporzionata in un’industria cinematografica non più al centro dell’interesse mondiale come nei decenni precedenti. Ma a Leone non importa. Ci ha messo più di dieci anni per riuscire a ottenere i diritti per la riduzione cinematografica di un romanzetto di scarso valore letterario, ma di cui s’è innamorato, e vuole andare fino in fondo, alla sua maniera. Il romanzo si intitola Mano armata ed è stato scritto da un ex gangster di secondo piano. Ora, finalmente, Leone può riadattarlo per il suo lavoro.
L’aspetto più immediatamente eccentrico del film va ricercato nella durata, che varia a seconda dei Paesi e non per volontà dell’autore. Il primo lavoro di montaggio prevede un prodotto finale di circa dieci ore. Leone taglia e scende a sei ore non senza sforzi, con l’idea di un film diviso in due parti di tre ore ciascuna. Poi, di fronte a mille ripensamenti, si accontenta di quattro ore, anzi, 3 ore e 56 minuti per un solo, unico film. Una sfida che sembra perdente in un’epoca che volge al telecomando, allo zapping, alla velocità. Ma il regista è convinto di poter ugualmente inchiodare alla poltrona gli spettatori.
Meno convinto si dimostra il produttore statunitense, Arnon Milchan. Ma tant’è, ormai il lavoro è pronto. L’anteprima lascia interdetti gli spettatori: un’opera grandiosa, nel senso più letterale del termine, dove domina il Tempo, letto come una soggettiva considerazione della vita da parte dei protagonisti. Noodles, il gangster fallito interpretato da Robert De Niro, quando riappare trent’anni dopo sulla scena delle sue scorribande giovanili, alla domanda: «Che hai fatto in tutti questi anni?», risponde: «Sono andato a letto presto». Una battuta molto “cinematografica”, certo, ma che in realtà è una citazione, guarda caso da Alla ricerca del tempo perduto, di Marcel Proust.
Proust che torna, nelle citazioni di Leone, nell’episodio del ragazzino messo di fronte alla scelta tra un amore mercenario da pagare con un dolce e la madeleine alla panna che stringe fra le mani: placare la fame o i primi impulsi amorosi? Meglio la madeleine, di cui ricorderà il sapore anche da adulto, come il regista mostrerà in uno dei molti salti temporali.
Ma il tempo esiste o è una sensazione, in questo film? Il finale non lo svela anzi aumenta le incertezze interpretative, unendo oppio, sogno, memoria, tempo, realtà, fantasia. Così concepito, il film di Leone non dovrebbe avere vita facile al botteghino. La pensa così anche Milchan, preoccupato per la durata e per il montaggio che non scandisce mai il tempo cronologico ma quello della memoria. Dopo la presentazione ufficiale al Festival di Cannes nella sua versione definitiva, 3 ore e 49 minuti, infatti, il produttore decide che per il mercato americano quel film così concepito non va bene. Impone un taglio massacrante e riduce la pellicola a un’ora e mezza, senza soluzione di continuità dal punto di vista dello sviluppo cronologico della vicenda, rimontando tutto il lavoro.
Leone è furibondo e ha ragione, perché il pubblico risponde negativamente mentre in Italia e in Europa il film nella sua versione “lunga” ha immediatamente successo. E il “mito” del film comincia farsi largo. Molti si chiedono quali altre scene siano state tagliate da Leone rispetto a quelle dieci ore pensate in origine. Anche perché alcune scene, in effetti, sembrano poco “chiare”, spiegate in modo parziale o affrettato. Ma il successo di C’era una volta in America è ormai evidente. I critici, peraltro, concordano con la grandiosità del lavoro di Sergio Leone e inseriscono il film tra i più belli di sempre. Ci vogliono anni perché anche in America possano vedere la versione “lunga”, la stessa in circolazione in Europa.
Leone muore cinque anni dopo, nel 1989, ma il suo capolavoro… resiste nel tempo. Fino al 2012, quando vengono reinserite alcune scene tagliate in origine che portano il film da 3 ore e 49 minuti a 4 e 19. E chissà che non saltino fuori altri spezzoni da rimontare (nel frattempo)...
Il regista, infatti, impiega più di dieci anni per scrivere la sceneggiatura definitiva. E anche i tempi di lavorazione sono tra i più lunghi, ben nove mesi, passati tra Roma, New York, Venezia, il lago di Como, Parigi, Miami, Montreal. Una lavorazione per eccessi, magniloquente e sproporzionata in un’industria cinematografica non più al centro dell’interesse mondiale come nei decenni precedenti. Ma a Leone non importa. Ci ha messo più di dieci anni per riuscire a ottenere i diritti per la riduzione cinematografica di un romanzetto di scarso valore letterario, ma di cui s’è innamorato, e vuole andare fino in fondo, alla sua maniera. Il romanzo si intitola Mano armata ed è stato scritto da un ex gangster di secondo piano. Ora, finalmente, Leone può riadattarlo per il suo lavoro.
L’aspetto più immediatamente eccentrico del film va ricercato nella durata, che varia a seconda dei Paesi e non per volontà dell’autore. Il primo lavoro di montaggio prevede un prodotto finale di circa dieci ore. Leone taglia e scende a sei ore non senza sforzi, con l’idea di un film diviso in due parti di tre ore ciascuna. Poi, di fronte a mille ripensamenti, si accontenta di quattro ore, anzi, 3 ore e 56 minuti per un solo, unico film. Una sfida che sembra perdente in un’epoca che volge al telecomando, allo zapping, alla velocità. Ma il regista è convinto di poter ugualmente inchiodare alla poltrona gli spettatori.
Meno convinto si dimostra il produttore statunitense, Arnon Milchan. Ma tant’è, ormai il lavoro è pronto. L’anteprima lascia interdetti gli spettatori: un’opera grandiosa, nel senso più letterale del termine, dove domina il Tempo, letto come una soggettiva considerazione della vita da parte dei protagonisti. Noodles, il gangster fallito interpretato da Robert De Niro, quando riappare trent’anni dopo sulla scena delle sue scorribande giovanili, alla domanda: «Che hai fatto in tutti questi anni?», risponde: «Sono andato a letto presto». Una battuta molto “cinematografica”, certo, ma che in realtà è una citazione, guarda caso da Alla ricerca del tempo perduto, di Marcel Proust.
Proust che torna, nelle citazioni di Leone, nell’episodio del ragazzino messo di fronte alla scelta tra un amore mercenario da pagare con un dolce e la madeleine alla panna che stringe fra le mani: placare la fame o i primi impulsi amorosi? Meglio la madeleine, di cui ricorderà il sapore anche da adulto, come il regista mostrerà in uno dei molti salti temporali.
Ma il tempo esiste o è una sensazione, in questo film? Il finale non lo svela anzi aumenta le incertezze interpretative, unendo oppio, sogno, memoria, tempo, realtà, fantasia. Così concepito, il film di Leone non dovrebbe avere vita facile al botteghino. La pensa così anche Milchan, preoccupato per la durata e per il montaggio che non scandisce mai il tempo cronologico ma quello della memoria. Dopo la presentazione ufficiale al Festival di Cannes nella sua versione definitiva, 3 ore e 49 minuti, infatti, il produttore decide che per il mercato americano quel film così concepito non va bene. Impone un taglio massacrante e riduce la pellicola a un’ora e mezza, senza soluzione di continuità dal punto di vista dello sviluppo cronologico della vicenda, rimontando tutto il lavoro.
Leone è furibondo e ha ragione, perché il pubblico risponde negativamente mentre in Italia e in Europa il film nella sua versione “lunga” ha immediatamente successo. E il “mito” del film comincia farsi largo. Molti si chiedono quali altre scene siano state tagliate da Leone rispetto a quelle dieci ore pensate in origine. Anche perché alcune scene, in effetti, sembrano poco “chiare”, spiegate in modo parziale o affrettato. Ma il successo di C’era una volta in America è ormai evidente. I critici, peraltro, concordano con la grandiosità del lavoro di Sergio Leone e inseriscono il film tra i più belli di sempre. Ci vogliono anni perché anche in America possano vedere la versione “lunga”, la stessa in circolazione in Europa.
Leone muore cinque anni dopo, nel 1989, ma il suo capolavoro… resiste nel tempo. Fino al 2012, quando vengono reinserite alcune scene tagliate in origine che portano il film da 3 ore e 49 minuti a 4 e 19. E chissà che non saltino fuori altri spezzoni da rimontare (nel frattempo)...



