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Tii amo, voglio vivere sempre con te, ti sposo. Prima però carta canta: a te il motorino, a me il tavolo della sala e i soldi per sistemare l’impianto idraulico, che ho speso io. Sai caro, cara, se l’amore finisce…
Messa così, l’amore finisce certamente. E la Corte di Cassazione, la suprema corte, ha giudicato leciti gli accordi prematrimoniali in scrittura privata. Una sentenza storica, commentano i vari media. Si infrange un tabù. Quale? Quello dell’amore eterno? Una speranza, un desiderio, non un tabù.
Potrebbe trattarsi di realismo: poiché i matrimoni non durano, poiché le disparità economiche danneggiano le persone e l’eventuale prole (soprattutto i mariti, i papà: tanti finiscono in mezzo a una strada per sostenere le spese familiari), poiché è un contratto, un negozio giuridico, normale e quasi doveroso cautelarsi in anticipo. Non fanno così forse le star?
In un mondo in cui è relativo anche il colore dell’erba d’estate, toccherebbe sguainare spade per ricordare che l’erba è verde. E che il matrimonio non è un contratto vero e proprio, cioè non soddisfa interessi reciproci attraverso l’equilibrio di prestazioni. Si tratta di un equilibrio di doni, o anche di un disequilibrio, perché il dono è gratis, o non è più un dono. Il bilancino non dovrebbe essere la norma quando si decide, insieme, per una comunione di vita.
Ma l’istituto del matrimonio, sentenza giuridica dopo sentenza, è stato svilito da un pezzo: nel termine intanto, che fa riferimento a una maternità che le coppie omosessuali non possono assolvere, a meno di negare o piegare a nostro interesse la natura: infatti non si chiamano matrimonio, quelli tra persone dello stesso sesso, ma unioni di fatto. Eppure tutti, e la tv insegna, parlano di matrimonio, mariti, mogli.
È interessante e, per certi versi, commovente che si faccia riferimento a un’unione stabile per segnare una storia d’amore. Che un’istituzione antica, un’abitudine anche, sia l’esito scontato e desiderato di un legame affettivo.
Purtroppo in tempi lontani da non invidiare mai, i contratti prematrimoniali si facevano eccome, tra i ricchi e i poveri e in genere era la moglie che ripagava lo sposo con la dote. Nulla di nuovo, dunque, nessuno scandalo, solo un po’ di tristezza, a fronte di tante sdolcinate canzoni e parole d’amore, per come gli amori finiscono.
Bene fa la Chiesa, che i matrimoni li benedice, li santifica con il sigillo del sacramento, a ribadire che il matrimonio non è un contratto. Perché ci si mette, in due, di fronte a uno più grande e potente e sicuro, capace di sostenere, di vincere – se invocato, se considerato – le fatiche, le divisioni, anche il disamore.
Dono e perdono, che escludono contratti e rimborsi. Ma a un matrimonio di tal genere ci si arriva credendoci, preparandosi, affidandosi, lasciandosi accompagnare e guidare. Non è da noi farcela, ma a Gesù.
(Foto in alto: iStock)
In collaborazione con Credere
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