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“Si sta avvicinando un "momento sudafricano", quando una combinazione di pressioni politiche, boicottaggi economici, sportivi e culturali ha contribuito a costringere Pretoria ad abbandonare l’apartheid? Oppure il governo di destra del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu riuscirà a superare la tempesta diplomatica, lasciando Israele libero di perseguire i propri obiettivi a Gaza e nella Cisgiordania occupata senza causare danni permanenti alla sua reputazione internazionale?”. L’interrogativo se lo è posto qualche giorno Paul Adams, commentatore della BBC, e lo ha ripreso in Italia Nathalie Tocci, direttore dell’Istituto Affari Internazionali.
Israele appare sempre più isolato sulla scena internazionale, mentre sempre più Paesi annunciano il riconoscimento ufficiale dello Stato palestinese. Lunedì il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato formalmente il riconoscimento da parte di Parigi durante una conferenza delle Nazioni Unite co-ospitata dal suo Paese e dall'Arabia Saudita. Macron è stato affiancato dai leader di Belgio, Lussemburgo, Malta, San Marino e Andorra, che hanno rilasciato dichiarazioni simili durante la conferenza volta a promuovere una soluzione a due Stati. Il Regno Unito, l'Australia, il Canada e il Portogallo avevano rilasciato le proprie dichiarazioni di riconoscimento della Palestina il giorno prima.
Ormai lo Stato palestinese è riconosciuto da 16 paesi dell’Unione Europea su 27, In totale, tre quarti degli Stati membri dell'ONU riconoscono lo Stato di Palestina. Secondo il conteggio e le verifiche dell’agenzia di stampa France Presse, almeno 149 paesi sui 193 membri dell'ONU riconoscono o riconosceranno lo Stato palestinese (questa cifra include Francia, Canada e Australia).
Il presidente francese ha dichiarato alla conferenza che è giunto il momento di porre fine alla guerra e liberare gli ostaggi israeliani ancora detenuti da Hamas. Ha messo in guardia dal "pericolo di guerre infinite" e ha affermato che "il diritto deve sempre prevalere sulla forza”. La comunità internazionale non è riuscita a costruire una pace giusta e duratura in Medio Oriente, ha affermato, aggiungendo che "dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per preservare la possibilità di una soluzione a due Stati" che vedrebbe "Israele e Palestina fianco a fianco in pace e sicurezza".
Sia gli Stati Uniti che Israele hanno sostenuto che il riconoscimento di uno Stato palestinese in questo momento equivarrebbe a una ricompensa per Hamas che non favorirebbe gli sforzi per liberare i 48 ostaggi rimasti e porre fine alla guerra a Gaza, ma potrebbe piuttosto danneggiare tali obiettivi. Lo ha detto anche Donald Trump nel suo discorso del 23 settembre davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, un discorso nel quale ha attaccato violentemente l'istituzione che lo stava ospitando.
Itamar Ben-Gvir, ministro della sicurezza nazionale israeliano di estrema destra, ha dichiarato lunedì sera che tali mosse richiedono "contromisure immediate", tra cui l'annessione della Cisgiordania occupata da Israele. Ben-Gvir ha aggiunto che nei prossimi giorni presenterà al governo israeliano una proposta per applicare la "sovranità" in Cisgiordania. Ha anche minacciato di "schiacciare completamente" l'Autorità palestinese, che amministra parte del territorio.
Proprio Mahmoud Abbas, il leader dell’Autorità Palestinese, collegato via video da Ramallah (gli Stati Uniti gli hanno rifiutato il visto) ha illustrato all’ Onu le misure che l'Autorità Palestinese sta adottando per riformarsi, in modo da essere meglio preparata a governare Gaza una volta terminata la guerra. Il "programma di riforme globali" promuoverà il buon governo, la trasparenza, lo Stato di diritto e vedrà riforme del sistema finanziario e dei sistemi educativi dell'Autorità Palestinese. Quest'ultima riforma sarà in linea con gli standard dell'UNESCO e sarà realizzata entro due anni, ha affermato Abbas.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha affermato: "La statualità per i palestinesi è un diritto, non una ricompensa".
L’Italia finora non ha preso in considerazione il riconoscimento dello Stato palestinese. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, Giorgia Meloni si è espressa in questi termini: “Io non sono contraria a un riconoscimento della Palestina, ma bisogna intendersi su cosa significhi. In questo momento è più logico concentrarsi sulla costruzione diplomatica, e sulla ricostituzione delle condizioni necessarie per l’esistenza di uno Stato, quando questo processo avrà prodotto dei frutti allora ci sarà anche un territorio e dei dati reali da riconoscere”.
Anche la Germania sta frenando sul riconoscimento dello Stato palestinese.Il quotidiano Frankfurter Allgemeine osserva in particolare che «la Germania sta assumendo sempre più in Europa il ruolo che gli Stati Uniti svolgono nel Consiglio di sicurezza: quello di ultimo difensore di Israele». Il giornale di Francoforte precisa tuttavia che Berlino non desidera che la sua posizione sia interpretata come «una carta bianca per Netanyahu, ma piuttosto come una lezione della propria storia».



