«Il primo giorno, il 6 giugno, l’acqua ha cominciato a fluire molto rapidamente verso Kherson. Gli abitanti evacuati sono stati accolti negli ospedali e nelle scuole vuote (perché gli studenti fanno le lezioni a distanza), ma non nei pressi della riva del fiume perchè i russi dall’altra parte continuano a lanciare missili. Anche la mia casa è stata sommersa. Io ho preso con me il mio gatto e sono scappato: il parroco della chiesa cattolica del Sacro cuore, don Maksym, mio grande amico, è venuto a prendermi in auto e mentre ci allontanavamo sentivamo il rumore delle bombe vicino a noi.  Pochi giorni fa due volontari sono rimasti uccisi».  Sergiusz Wasilewski, 55 anni,  è nato a Kherson ed è tornato a vivere qui dopo dieci anni trascorsi a Washington, dove ha studiato Lingue, Filosofia e Teologia. Prima della guerra era docente, interprete e traduttore. Oggi, insegna lingua inglese ai bambini nella chiesa del Sacro Cuore, perché «quando tutto questo sarà finito i ragazzini avranno bisogno dell’istruzione per costruire il loro futuro». 

Non c’è pace per la popolazione del Sudest ucraino. Dopo le bombe, ora il disastro idrico e ambientale. La distruzione della diga di Nova Kachovka, sul fiume Dnipro, ha sprigionato una montagna d’acqua che ha sommerso buona parte della provincia di Kherson, tagliata in due dal Dnipro. La centrale idroelettrica della cittadina di Kachovka, di cui la diga faceva parte, collega le due sponde del fiume, che è diventato linea del fronte naturale fra l'esercito ucraino e quello russo: la parte sulla riva destra è sotto il controllo di Kyiv, quella sulla riva sinistra è occupata dai russi. Mentre Kyiv e Mosca si accusano a vicenda dell'esplosione che ha fatto collassare la diga e il presidente turco Erdogan invoca l'inchiesta di una commissione internazionale, il mondo assiste a una catastrofe di proporzioni gigantesche, che ha coinvolto più di quarantamila abitanti. Ma sulle responsabilità di Mosca, dice Wasilewski, nessuno lì a Kherson ha dubbi: «La diga era interamente in mano ai russi, non c’era alcuna possibilità per gli ucraini di accedervi e sabotarla. Tutti qui lo sanno». L'idea del docente è che i russi potrebbero aver fatto saltare la diga come forma di vendetta e rivalsa sugli ucraini che non hanno accettato l'occupazione e non hanno voluto prendere i passaporti russi. «A Kherson ci sono state tante manifestazioni contro i russi e la resistenza è stata forte.  L'ipotesi più accreditata qui, comunque, è che lo abbiano fatto come reazione alla controffensiva sferrata dalle forze ucraine per liberare le aree di Kherson occupate e per guadagnare tempo al fine di riorganizzarsi».  

La centrale idroelettrica di Kachovka ha in particolare due funzioni essenziali: la prima, rifornire di acqua la penisola della Crimea, la seconda, provvedere al raffreddamento dei reattori e quindi al funzionamento della centrale nucleare di Zaporizhzhia, situata nella cittadina di Enerhodar, sotto il controllo russo. Ma al momento sembra che per la centrale non ci siano rischi imminenti. Uno dei problemi più gravi è che l’immane flusso d'acqua sposta le mine antiuomo cosparse nell’area, portandole qua e là, «con enorme rischio per i civili che non hanno idea di come riconoscere le mine, per questo le operazioni di salvataggio vengono compiute da militari e forze dell'ordine», osserva il docente. «L’acqua trasporta anche tanti cadaveri di vittime non ancora recuperati perché molti abitanti sono rimasti in casa e sono stati sorpresi all’improvviso dall’inondazione, che nessuno si aspettava, e chi viveva lungo il fiume non ha avuto il tempo di scappare». 

Ora, Wasilewski è ospitato nella casa della parrocchia del Sacro Cuore, che il 23 dicembre del 2022 è stata teatro di un evento ribattezzato "miracolo di Natale": due razzi russi sono volati contro la chiesa, piena di persone, ma non sono esplosi, uno è caduto e si è spezzato in due, l'altro è rimasto incastrato nel muro. «Dopo l'inondazione la chiesa si è subito attivata per dare assistenza ai parrocchiani e ai fedeli. Tanti hanno abbandonato le loro case con quello che avevano addosso, senza poter prendere con sé e portare via nient'altro». Lui non sa cosa sia successo alla sua casa, non è potuto andare a vedere perché tutta l'area è stata chiusa. «Ma non mi preoccupa molto il fatto di aver perso l'abitazione. Non sono giovane ma neppure anziano e non sono infermo o malato. Mettendo da parte i soldi, un giorno potrò trovare un'altra casa. Gli oggetti si possono ricomprare. Per me è importante il fatto non avere perso le persone a me vicine, i miei familiari e il mio gatto, che ha vissuto con me per tanti anni. Viviamo in guerra da sedici mesi, dobbiamo essere forti e guardare sempre avanti, senza lasciarci sopraffare dalla disperazione. A Kherson abbiamo due scelte: o ti butti nell'alcol, oppure esci di casa, ti rendi utile e fai qualcosa per aiutare gli altri».

Sulla sponda destra le operazioni di aiuto vanno avanti. Ma sulla riva sinistra, stando alle fonti locali, «le truppe di Mosca proibiscono agli abitanti di andare via e tante persone rimaste intrappolate nelle loro case sono affogate. Inoltre, i russi non consentono le operazioni umanitarie e assistono soltanto gli abitanti che hanno accettato di prendere il passaporto russo». Intanto continuano ad attaccare. «Durante la distribuzione degli aiuti abbiamo sentito almeno una dozzina di esplosioni da parte dei russi», racconta don Piotr Rosochacki, 42enne sacerdote polacco direttore di Caritas Spes di Odessa, da cui dipendono Mykolaiv e Kherson. «Stiamo gestendo l’evacuzione degli abitanti, li portiamo nei centri di raccolta», spiega don Piotr, «ma la gente non vuole allontanarsi molto da casa e tanti trovano riparo presso amici e parenti in zona. Stiamo distribuendo acqua pulita, cibo, vestiti a chi ha perso tutto. In un villaggio abbiamo stabilito un punto di aiuti umanitari e portiamo assistenza alle zone più remote attraverso squadre mobili, sostenuti dai volontari locali. C’è bisogno di letti, materassi, accessori per le case, materiale igienico-sanitario, generatori di corrente, mezzi per la disinfezione dell'acqua. Abbiamo lanciato un programma di sostegno finanziario e abbiamo un punto di assistenza anche a Mykolaiv. Temiamo una catatrofe biologica: nell’acqua c'è una grande quantità di carcasse di animali, i cimiteri sono stati inondati e le salme disseppellite, l’acqua è inquinata dal petrolio e da altre sostanze». E aggiunge: «In uno dei villaggi sommersi, che è stato per otto mesi sotto occupazione russa, ho sentito un padre di famiglia dire: “Non ce ne andiamo da qui. L’acqua è sempre meglio dell’esercito russo. Io, mia moglie e i nostri due figli non ce ne siamo andati durante la guerra e nemmeno durante l’occupazione. Sotto i russi è stato un inferno”». La gente di Kherson si è abituata a vivere sotto i bombardamenti. E resiste. «Ma la situazione nel Sud dell’Ucraina è davvero drammatica: abbiamo urgente bisogno di aiuto».

(Foto Reuters)