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La “terra promessa” vista dai migranti subsahariani che tentano il passaggio attraverso il Marocco. Le porte di accesso al vecchio continente in Africa sono le città di Ceuta e Melilla, le due enclave spagnole del Nord Africa, residui coloniali d'Occidente. Poco o nulla si conosce in Italia di queste rotte, essendo tutti i riflettori puntati altrove: Libia, Turchia, Balcani. Eppure anche in Marocco, da sempre considerato dai paesi subsahariani terra di accoglienza, il vento ha cambiato direzione: “In fondo siamo tutti africani” si diceva fino a ieri. Da un anno la musica per chi arriva in Marocco da Paesi subsahariani come Gabon, Mali, Nigeria, Burkina Faso, Senegal, Costa d’Avorio e punta dritto a Ceuta è cambiata. E se prima i migranti che non riuscivano a spingersi al di là dello stretto di Gibilterra potevano almeno tentare di restare in Marocco, oggi vengono fatti tornare indietro. Rispediti verso il Sud o il centro del Marocco e lasciati lì. Andata e di nuovo ritorno. Prima almeno ci si poteva fermare nella speranza di mettere da parte qualcosa prima di ripartire.
In un Paese per sua natura pacifico dove la convivenza tra musulmani, cristiani, ebrei e buddisti esiste. E dove il seme del razzismo viene condannato dalla stessa religione musulmana. “Lo sfruttamento della ricchezza dei paesi africani è il risultato di coloro che arrivano qua”, dice Drigo arrivato a Casablanca da qualche mese dalla Costa d’Avorio. Nel suo villaggio faceva l’allenatore di calcio. Il suo “goal” più ambito era togliere i bambini dalla strada. Come Drigo, i migranti che tentano di entrare in Europa, via Ceuta, arrivano tutti dai paesi subsahariani. Prima partiva chi non aveva nemmeno i vestiti addosso. Adesso c’è anche chi pur privo di tutto porta con sé un diploma. La molla che li spinge a partire, dicono, è la totale sfiducia nei governi dei loro Paesi: “Anche domani lì non potrà mai cambiare nulla e non mi sento sicuro” dice.
Sulle rotte dei migranti. A Ceuta, per un inedito viaggio inchiesta, sono approdati dal 25 agosto al 2 settembre trenta amici e volontari del “Giavera Festival, crocevia di incontri e di culture”, manifestazione multiculturale e multietnica che ha mosso i primi passi nel 1996 proprio a partire da una casa di accoglienza per i migranti a Giavera del Montello, in provincia di Treviso. Qui i volontari italiani hanno incontrato alcune associazioni in prima linea nell’aiuto ai migranti: l’Osservatorio mediterraneo per i diritti umani, Mani solidali, Alarm Phone. Ed è il loro diario di viaggio a condurci passo dopo passo a conoscere da vicino l’Odissea dei migranti attraverso la barriera di Ceuta: “Abbiamo tante storie di migranti – spiega don Bruno Baratto, presidente dell’associazione “Ritmi e danze dal mondo”, che organizza il Giavera Festival – E ora quando incontreremo un immigrato che abita vicino a noi lo vedremo con occhi diversi”.
La foresta della frontiera di Ceuta. C’è una foresta sulle colline intorno a Ceuta, un bosco mediterraneo che divide la città dalla regione del Rif. Ed è qui che si nascondono i migranti decisi a saltare quel muro di ferro. La barriera, “la carrera”, in spagnolo, si spinge fino in città. Ceuta punto di arrivo. O meglio punto e a capo. Perché una volta arrivati a destinazione i migranti da qui vengono riportati indietro. In qualsiasi parte del Marocco. E il viaggio ricomincia. Andata e di nuovo ritorno. Senza bussola. Perdendo tutti i punti di riferimento. Come quella dell’altra enclave spagnola in Marocco, la città di Melilla, la barriera di Ceuta è stata progettata e costruita dalla Spagna alla fine degli anni ’90. La Comunità europea ha partecipato finanziando il progetto. Obiettivo impedire l’immigrazione e il contrabbando. Oggi i migranti che si nascondono nella foresta prendono posto in case abbandonate in condizioni disumane. L’Osservatorio mediterraneo per i diritti umani ha iniziato da due anni a denunciare l’emergenza dei migranti. Denunciano le oppressioni che subiscono da parte delle autorità marocchine e spagnole. A fare da sponda da Ceuta a Gibilterra sono spuntati pure gli yacht dei trafficanti di droga che si spartiscono piantagioni di hashis e mariuana della regione del Rif. Tanto che per contrastare il fenomeno Marocco e Unione europea hanno fatto fronte comune.
La grande, spietata barriera. Alta sei metri, lunga otto chilometri e mezzo, affilata in cima non dal filo spinato ma dal filo laminato. Per i profughi riuscire a scansare le ferite causate dalle sottili lamette quando hanno la fortuna di arrivare fino in cima è missione impossibile. Tagli profondi per lo più alle mani e ai piedi sono il prezzo del lasciapassare. L’associazione Mani solidali ha fatto un accordo con l’ospedale della vicina città di Tètouan per farvi arrivare i feriti. Con interventi gratuiti pagati dall’associazione. Non esiste un protocollo di accoglienza, ma soltanto di espulsione. Dunque nel centro di smistamento di Ceuta la media di permanenza dei migranti che arrivano è di pochi giorni. Difficile chiamarlo centro di accoglienza. Nella foresta i volontari stessi arrivano scortati dalla polizia per non rischiare di fare da apripista a chi cerca di raggiungere Ceuta. Vengono distribuiti cibo e medicine. Dal 2014 è nata la carovana per l’assistenza sanitaria. Sono riusciti a distribuire coperte e cibo. Gli immigrati fanno la fila per riceverli. I volontari portano pure cellulari per fare in modo che possano telefonare alle famiglie.
I numeri dei migranti della foresta. Il 23 agosto 2017 sono riusciti a saltare la barriera 117 migranti. Sono stati raccolti per essere infine deportati in varie parti del Marocco in meno di 23 ore. Senza poter ricevere la minima assistenza sanitaria. Complessivamente nel 2017 gli arrivi sono stati 950. Nel 2018 ancora in agosto sono riusciti a forzare la frontiera 602 migranti in un gruppo di 850. In quell’occasione il passaggio era stato più massiccio e il faccia a faccia con gli agenti duro: 132 i migranti feriti dal filo laminato e 32 le guardie che hanno riportato bruciature, contusioni e problemi respiratori. Ancora un altro anno di silenzio. Fino a quando 150 migranti all’alba dello scorso 30 agosto hanno tentato di nuovo a saltare la barriera di confine. Una dozzina sono rimasti feriti dopo aver tentato di passare al di là del filo laminato. Mentre 11 agenti della Guardia Civile sono stati feriti dai migranti con bastoni e acido. I quotidiani “El Faro” e “El Pueblo” di Ceuta parlano di “assalto”. E stando a quanto ha riportato l’Unione della guardia Civile c’è carenza di uomini e mezzi. I migranti che cercavano di passare erano almeno 200, ma solo in 150 sono riusciti a passare la doppia barriera. Il ministro dell’Interno spagnolo Fernando Grande-Marlaska ha espresso la volontà di togliere il filo laminato in cima alla barriera di confine. Il centro di accoglienza temporaneo è il punto di approdo. Può accogliere al massimo 530 persone. Con questi numeri si davvero può parlare di invasione? Una volta deportati altrove si perdono le tracce: “Il Marocco ha assunto il ruolo di gendarme dell’Europa. E i migranti sono diventati “Il signor nessuno”. Persone senza identità anche quando i documenti ci sono”, spiega Redouan Bnthr, tra gli attivisti di Alarm Phone a Ceuta.
La linea dura. L’accordo bilaterale tra Spagna e Marocco intorno all’enclave di Ceuta esisteva fin dal ’92, ma i volontari che portano oggi aiuto ai migranti dicono che non era mai stato applicato prima. In azione ci sono anche fotocamere termiche per captare la presenza umana nella foresta. Nel tentativo di fermare il passaggio, le associazioni denunciano un crescendo di aggressioni. “Video di poliziotti che dicono spara a chi chiede soccorsi”, dicono. Si fanno perlustrazioni nei quartieri. D’altronde l’ordine giunto dall’Europa è stato chiaro: “Non far passare nessuno”.
"Alarm Phone". Tra Ceuta e Gibilterra ci sono 14 chilometri di correnti. "Alarm phone" è stato attivato per i migranti in difficoltà. Quando chiama qualcuno in pericolo il volontario riceve la telefonata ed è reperibile a tutte le ore. Un numero unico che tutti conoscono. Chiedono con calma informazioni e passano i dati alla guardia costiera. Nel tentativo estremo di far fare ai migranti il salto in Europa spuntano camion con il doppio fondo sotto i paraurti per far loro posto. Nei centri commerciali a Ceuta c’è persino il divieto di vendita di gommoni e spunta il mercato di contrabbando. Intanto la politica ha fallito sul piano dell’accoglienza. Una volta i richiedenti asilo potevano uscire da Ceuta. Ora no. Tempi lunghi. La Spagna ha fatto accordi con quattro Paesi: Marocco, Senegal, Algeria e Nigeria per deportare i migranti che arrivano. In un crescendo di stress il destino è una vita ad alta tensione in attesa di essere portati indietro. Chi arriva da più lontano è il più penalizzato. Trattenuto anche fino a sei mesi di detenzione. L’anno scorso il centro di smistamento di Ceuta di persone ne ha accolte 1500. Da agosto del 2018 non era passato nessuno. La comunità europea ha speso 40 milioni per rafforzare la frontiera. 20 milioni di jeep per potenziare i controlli. 4000/5000 i migranti che sono passati per Ceuta nell’arco degli ultimi cinque anni. Per mantenere la barriera con il suo filo di lamette servono 22 mila euro al giorno. Al massimo entra un migliaio all’anno. Nel 2019 appena 150. Numero irrisorio. Si può davvero parlare di invasione?



