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A due passi dalla chiesa dei Santi Gottardo ed Erardo e a pochi di più dal Duomo di Bressanone, il simbolo dell’antica città vescovile dell’Alto Adige, dall’infilata di vetrine che si susseguono sotto gli storici Portici Minori, all’improvviso spunta un massiccio portone di legno ad arco con la piccola targa “Fink”. Tra il viavai di gente che passa veloce, alcuni si fermano incuriositi dalla curiosa scritta che campeggia sul menù del ristorante, esposto su un leggio tra i tavoli esterni apparecchiati con semplice eleganza: «L’arte culinaria monastica».
Oltre le grandi vetrate del Fink, una luce morbida e calda lascia intravedere anche la sala da pranzo interna dove i commensali siedono uno accanto all’altro su una panca lunga ventiquattro metri, rigorosamente scolpita nel legno. Petra si occupa di accoglierli con il sorriso (e di molto altro) mentre in cucina c’è suo marito Florian Fink, il trentanovenne chef brissinese ideatore di un’idea di cucina davvero molto innovativa. «Per me “l’arte culinaria monastica” è creare un sistema di lavoro autosufficiente com’è accaduto per secoli nei monasteri dove il cibo, dalla carne al pesce e dalle erbe alla frutta e verdura, era coltivato, allevato e trattato internamente dai monaci», dice Florian.
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