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Le sentenze, come noto, hanno delle motivazioni, e aspettiamo di conoscere quelle che hanno portato a escludere il reato di associazione mafiosa nel processo di “Mafia capitale”. Ciò non toglie che la valutazione lasci un po’ perplessi e ancor di più lo lasci l’atteggiamento di chi oggi canta vittoria, come se l’accertamento di reati molto gravi, ma diversi da quelli denunciati dalla pubblica accusa, non sia una sconfitta sulla quale tutti dobbiamo umilmente e onestamente riflettere. Si tratta insomma di guardare alle cose come stanno, al di là di nomi, definizioni e criteri di giudizio che possono anche invecchiare, diventare anacronistici, non favorire dunque la ricerca di verità. Mi permetto quindi con umiltà, ripeto, di fare qualche riflessione a margine.
La prima riguarda il legame sempre più forte tra mafie e corruzione. Le carte processuali e le intercettazioni hanno evidenziato una complessa e articolata realtà criminale che ha spolpato e lacerato il tessuto sociale, economico e politico di un’intera metropoli. Che i metodi utilizzati non siano mafiosi in senso stretto saranno appunto le motivazioni a dimostrarlo, ma questo non faccia dimenticare il dato più inquietante di questi ultimi anni, ossia la sempre maggiore commistione, a tratti sovrapposizione, tra metodi mafiosi e metodi corruttivi.
Si legga a riguardo l’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia, dove si scrive tra l’altro: «È questa la novità introdotta dalla criminalità che vuole aggiudicarsi gare e appalti pubblici utilizzando la corruzione. Non più soltanto tangenti per entrare nella partita ma intervento diretto nell’attività di ideazione, gestione e realizzazione dei bandi di gara». O ancora, il passo dove dei boss mafiosi si dice che «pur mantenendo sullo sfondo la possibilità del ricorso alla violenza» la strategia prediletta oggi è «la via negoziale, che altro non è che estrinsecazione del metodo collusivo-corruttivo a ogni livello». Attenzione quindi agli schematismi e ai criteri che si rifanno magari ad altri tempi, altre situazioni criminali: oggi il confine tra mafie e corruzione è sempre più labile.
La seconda riflessione riguarda la presenza delle mafie a Roma e nel Lazio, come in ogni altra città e regione d’Italia, a partire da quelle di rilevanti interessi politico-economici. È una presenza accertata da anni, come dimostra il grande numero di beni confiscati, la consistenza del traffico di droga e di cocaina in particolare o, per fare un esempio specifico, l’egemonia a Ostia di bande criminali. Nel suo piccolo Libera denunciò il fenomeno nel lontano 2009, in un incontro allo storico Café de Paris di via Veneto, appena sequestrato e poi confiscato. Sarebbe grave che la sentenza di “Mafia capitale” inducesse meccanismi di rimozione, gli stessi che per pressapochismo, malafede ma anche complicità più o meno dirette, hanno portato per decenni a negare la presenza delle mafie al Nord.
L’ultima riflessione riguarda un aspetto niente affatto secondario di questa vicenda criminale. La corruzione – mafiosa o meno che fosse – veniva esercitata anche sulla pelle e sulle speranze dei poveri: immigrati, detenuti, persone in cerca di lavoro. Non so se questo possa configurarsi come un’aggravante dal punto di vista penale, ma lo è senz’altro da quello morale e etico. L’indifferenza e il cinismo rischiano di diventare tratti dominanti del panorama sociale, mali di un Paese dove già accade che si rida e ci si compiaccia delle sciagure altrui in vista di futuri arricchimenti personali. Per questo mi auguro che la sentenza di Roma, al di là dei risvolti giuridici e dei giudizi affrettati su vincitori e vinti, rappresenti un’occasione per recuperare quel po’ di responsabilità e impegno per il bene comune necessari per costruire una società libera dalle mafie e dalla corruzione.





