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Una donna «è stata costretta a lasciare la casa coniugale per le continue percosse e minacce subite dal marito»; marito che da anni «spesso arrivava a casa ubriaco, insultava e percuoteva la moglie»; e, come conseguenza di ciò «dopo anni di accessi al pronto soccorso la convivenza non poteva protrarsi oltre». I virgolettati sono dei giudici della quarta sezione civile del Tribunale di Genova chiamati a decidere sulla richiesta di una separazione per colpa da parte di una donna che per 24 anni ha subito le violenze del marito. La conclusione degli stessi giudici è però sorprendente. Dal momento che lei stessa ha «ammesso che tali condotte sono iniziate nell’anno 1991, subito dopo la celebrazione del matrimonio», ma ha atteso 24 anni per denunciarle, «la signora ha dunque di fatto tollerato tali condotte». Quindi non si può dimostrare il nesso causale tra «le stesse e la disgregazione del nucleo familiare».
Non si può dimostrare anche se lei in tutti questi anni ha conservato i referti medici con le violenze subite (nella stessa sentenza si parla di "ustioni a una gamba"); e se, per effetto dei comportamenti del marito, ha visto un figlio finire in galera e l'altra portata via dai servizi sociali e talmente traumatizzata da non voler mai più vedere il padre.
Il punto è che ha aspettato troppo: più precisamente fino al 2013, quando pure il marito è finito in prigione. Solo allora la donna ha trovato il coraggio di rompere questa spirale di dolore, andando via di casa e trovando ospitalità in una comunità protetta. Per i giudici quel coraggio doveva trovarlo 24 anni fa: la sua paura o l'illusione che le cose potessero cambiare non contano nulla.
Non si può dimostrare anche se lei in tutti questi anni ha conservato i referti medici con le violenze subite (nella stessa sentenza si parla di "ustioni a una gamba"); e se, per effetto dei comportamenti del marito, ha visto un figlio finire in galera e l'altra portata via dai servizi sociali e talmente traumatizzata da non voler mai più vedere il padre.
Il punto è che ha aspettato troppo: più precisamente fino al 2013, quando pure il marito è finito in prigione. Solo allora la donna ha trovato il coraggio di rompere questa spirale di dolore, andando via di casa e trovando ospitalità in una comunità protetta. Per i giudici quel coraggio doveva trovarlo 24 anni fa: la sua paura o l'illusione che le cose potessero cambiare non contano nulla.



