Che la lettura faccia bene si sa; che quella ad alta voce sia salvifica, anche. Ma il potere della lettura non finisce qui. Perché accostata alla disabilità può moltiplicare ancor più i suoi benefici. Come? Ce lo spiega psicologa e psicoterapeuta infantile Paola Zanini

La lettura può aiutare a vivere la disabilità?
«Sì. Crea uno spazio del pensiero e dell’agire che porta la persona con disabilità verso l’indipendenza. Perché un libro, con le immagini, le parole e le metafore innesca collegamenti che aiutano a riconciliarsi con il proprio stato. I libri sono mediatori per la conoscenza della propria condizione che talvolta resta nascosta. Accompagnano alla scoperta e alla costruzione della propria dimensione interiore. E aiutano a conquistare uno spazio libero dalla realtà in cui essere più autonomi e resilienti».

Nella pratica?
«
Il libro deve essere accessibile, ovvero va trovato un modo e lo strumento giusto che permettano a tutti di approcciarsi al testo (non si legge solo con gli occhi, ma anche col tocco di una mano, col tono della voce). Serve personalizzare i libri, che siano di qualità ed eterogenei perché hanno infiniti vantaggi tra cui la sicurezza: i libri ci sono come oggetti, sono a disposizione, li si può prendere in mano quante volte si vuole. Le ricerche e le esperienze degli educatori confermano che leggere condizioni condiziona positivamente l’aggressività abbassandola, migliora la comunicazione etc».

 



Quali sono gli altri vantaggi della lettura?
«Per chi ha deficit uditivi leggere aiuta a trattenere frasi, parole, concetti e pensieri. Se questi bambini non avranno familiarità coi libri quando impareranno a leggere faranno più fatica a capire quel che leggono. E poi aiutano il legame coi contesti: i libri possono favorire l’ingresso nei contesti talvolta estremamente delicati (penso all’ospedale). Offrono tempo, aiutano a costruire risorse interiori. Tenere in mano un libro, sentirne la consistenza, la texture della carta è un ottimo esercizio di motricità fine che può aiutare la persona anche al suo sviluppo e a un benessere globale. Dove ci sono delle difficoltà, ovviamente, i libri prevedono dei facilitatori».

Poi c’è il ruolo fondamentale della lettura verso l’esterno.
«A scuola, con gli insegnanti; ci sono libri in cui sono spiegate le sindromi specifiche perché le immagini e le parole aiutano i bambini a parlarne in una lettura condivisa che è anch’essa uno strumento arricchente soprattutto per allenare l’ascolto reciproco e per indurre una discussione socializzata. Questa è una delle cose che auspico nel libro San Paolo Leggere insieme per superare i limiti. Invito a riflettere su cosa voglia dire essere inclusivi e quanto l’inclusione vada perseguita tutti i giorni».

Qual è l’aspetto centrale nella vita delle persone con disabilità (e nel suo libro)?
«Mettere al centro la persona più che le sue mancanze e i suoi limiti che abbiamo tutti. La lettura e la cultura ci devono portare a considerarle questi limiti non estranei alla nostra esperienza perché siamo tutti diversi. Ecco allora perché la disabilità non va considerata un peso per la società, ma il contrario. Ed ecco perché nel libro suggerisco agli insegnanti che la stesura del PEI - piano educativo individuale - venga esteso a tutti. Come principio, così facendo saremmo tutti uguali e diversi insieme. Il libro stesso è per tutti: educatori, insegnanti, operatori sociosanitari, ma anche per i papà - perché non solo le mamme si occupano di chi ha una fragilità - sempre più rappresentanti nella letteratura per l’infanzia, protagonisti di tanti libri. La disabilità, come afferma Stephen Hawking, non può essere un handicap».