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L’odio è il veleno della società. Un virus potentissimo che si diffonde alla stessa velocità degli incendi quando soffia il vento di scirocco. In questa estate dal clima impazzito, con grandini rovinose al Nord e temperature altissime al Sud, la reazione sui social allo stupro di gruppo consumato a Palermo a luglio da sette giovani su una diciannovenne, ce lo ha fatto capire benissimo. L’odio di quell'azione – terribile non solo come fatto ma nel disprezzo ripugnante delle conversazioni tra gli accusati - si è moltiplicato sui social con messaggi durissimi nei confronti degli stupratori. Un dilagare di insulti, giudizi e contro-giudizi ed una caccia ai video dello stupro che non è cosa molto più degna dello stupro. Non è la prima volta che ciò accade, in verità, ma questa fine d’estate 2023 è diversa dalle altre. Diversa, perché è come se il concatenarsi di alcuni eventi avesse rotto un argine. Nelle stesse ore in cui sui social si scatenava la furia attorno allo stupro di Palermo, un generale dell’Esercito italiano, un uomo delle istituzioni, ha rivendicato con un libro autoprodotto “Il diritto all’odio e al disprezzo e a poterli manifestare liberamente nei toni e nelle maniere dovute”. Il libro ha contenuti sessisti, omofobi e xenofobi. Ma quello che colpisce più di ogni altra cosa è la rivendicazione di questo diritto. C’è, ci si chiede, un tono e una maniera lecita per manifestare l’odio che non sia nel medesimo tempo, propaganda e/o istigazione all’odio stesso? Che non sia un incitamento seppure non dichiarato a violare norme come la legge Mancino, nata proprio per contrastare la propaganda e i reati di odio?
Mi pare come per gli incendi. Capita che all’inizio si vedano piccoli focolai sparsi – da siciliana ahimè ne ho visti molti iniziare così – poi il vento fa sì che quei piccoli focolai si uniscano diventando fiamme devastanti che divorano tutto: case, vite, alberi, animali. In maniera incontrollabile.
Ecco, quest’estate mi è sembrato di vedere tanti di questi focolai d’odio mostrarsi da lontano.
Mi ha turbato, lo confesso, la rivolta a Trieste verso un gruppo di donne musulmane che volevano fare il bagno vestite come nella loro tradizione e mi ha turbato la reazione della coppia di turisti ad Agrigento che hanno abbandonato il tavolo di un ristorante perché la chef, Mareme Cisse, era senegalese ed il fatto che fosse una donna di colore a toccare il cibo che avrebbero mangiato, creava in loro disagio. Per non parlare delle stragi continue nel Mediterraneo e l’atteggiamento del Governo nei confronti dei migranti (con espressioni verbali e decisioni che a volte sfiorano la disumanità). E ancora: dei tanti femminicidi che considerano la donna un oggetto da possedere o della sentenza di assoluzione arrivata qualche giorno fa per due ragazzi accusati di un altro stupro di gruppo: liberi non “per non aver commesso il fatto” ma per “non aver capito” che la ragazza abusata non era consenziente. Altri piccoli argini rotti nella tutela dei diritti umani. E mi pare così brutta questa puzza di bruciato che contamina l’aria. Così lontana dal clima di gioia, amore e speranza della GMG di Lisbona che Famiglia Cristiana ha così ben raccontato. E mi chiedo se e come trasformare quel sentimento di speranza in antidoto.
Rivendico anch’io qualcosa: “il diritto all’amore e alla pace” (questi sì riconosciuti dalla nostra Costituzione) di cui spesso ci dimentichiamo. Lo rivendico perché diventi la pioggia benefica che serve a spegnere i focolai dell’odio. Ora, mentre il vento non è ancora forte.



