Sgranò gli occhi, si mise a riflettere per qualche secondo, poi disse: «Nelle prossime settimane vado in Somalia. Al ritorno vi saprò dire se la cosa è fattibile». Era il primo incontro di uno di noi, Luciano, insieme al suo collega di Famiglia Cristiana Alberto Chiara, con Yusuf Mohamed Ismail Bari-Bari. La conoscenza con lui cominciò così, nella “sua” Bologna, nel lontano 1998. La richiesta era di realizzare una spedizione in Somalia alla ricerca di indizi sui traffici d’armi e rifiuti fatti dal nostro Paese in quello africano.

Yusuf Bari-Bari era ben lungi dal diventare il portavoce del Presidente Abdullahi Yusuf Ahmed e poi l’ambasciatore a Ginevra all’Onu e per le relazioni diplomatiche con la Federazione Elvetica. Era semplicemente il portavoce in Italia del suo movimento politico, l’Ssdf, allora alla guida dei territori nordorientali della Somalia, la futura regione autonoma del Puntland.

Tornò e ci disse: «Non si può fare. La questione è tabù. Ci lasceremmo tutti la pelle».

Passarono diversi anni, nei quali via via molti di noi lo conobbero. Ci siamo visti e rivisti, per parlare di Somalia, per scambiarci punti di vista, semplicemente per cenare insieme. Quel suo sgranare gli occhi di fronte a richieste o affermazioni che lo stupivano ci divenne familiare, tanto quanto l’allegria contagiosa, i ragionamenti da diplomatico “di razza”, la preparazione accurata e colta, la sua profonda quanto discreta e rispettosa fede di musulmano, l’autentica e radicata convinzione democratica e dialogante.

Soprattutto la lealtà e il rigore morale di una persona davvero “per bene”. Non sopportava gli estremismi, nemmeno quelli dei «barbuti, i sedicenti islamici», come li chiamava. «Nel 1992 li abbiamo sconfitti e cacciati da Bosaso», amava ricordare. Allora era nelle file del movimento di liberazione guidato dal generale Abdullahi Yusuf.

Un bel giorno, nella primavera del 2005 ci chiamò: «Ora quella spedizione si può fare». E la facemmo, nell’estate successiva. Lui con noi, sempre. Quattro viaggi in Somalia, tra il 2005 e il 2007.

Non si tirò indietro neanche quando ci arrivarono le minacce di morte: «Si parte insieme, si torna insieme», ci disse, quando si trattava di decidere se proseguire o rientrare in Italia. Andammo avanti, trovammo i testimoni dello scempio fatto dall’Italia nel Paese Corno d’Africa.

Consegnammo tutti gli elementi acquisiti (nomi dei testimoni, interviste video, immagini e punti gps dei siti alle autorità italiane. Le nostre istituzioni non se ne fecero nulla, naturalmente. Tutto rimase in un cassetto, anche quando, per merito della sua azione diplomatica, arrivò la richiesta ufficiale del Presidente somalo di realizzare insieme al governo italiano una missione comune di monitoraggio sui luoghi in cui erano stati interrati rifiuti tossici e pericolosi.

Il Governo italiano declinò l’invito, anzi a essere precisi, nemmeno rispose (oggi, alla luce dei “depistaggi di Stato” che stanno emergendo sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, capiamo bene il perché).

Yusuf Bari-Bari poi divenne ambasciatore a Ginevra. Sono continuate le cene e le chiacchierate. Abbiamo continuato a vagheggiare “l’ultima missione”, la spedizione conclusiva e decisiva in Somalia per portare a termine ciò che avevamo dovuto lasciare in sospeso: lo scavo dei siti individuati nei viaggi precedenti e l’analisi del materiale rinvenuto.

L’abbiamo visto in questi ultimi anni lavorare in modo infaticabile perché la sua Somalia trovasse pace. Ma non solo. Prima di tutto perché la politica e il dialogo trionfassero sulla violenza e sulla guerra. Prima di tutto per il rispetto dei diritti umani, per i quali tante iniziative aveva portato avanti alla Commissione Onu di Ginevra.



Ci chiamò con addosso la felicità di un ragazzino quando riuscì a far passare in Commissione Onu un’importante deliberazione sul rispetto degli albini africani e a portare da Papa Francesco alcune associazioni che ne difendono i diritti. «Quando ho scoperto cosa accade a questi poveri bambini albini non ho dormito per giorni», ci disse.

Negli ultimi tempi scherzavamo con lui sul fatto che volevamo vederlo Presidente della Somalia, o almeno ministro degli Esteri. Non scherzavamo neanche tanto: sarebbe stato un leader politico di prim’ordine.

Ora dei pazzi assassini, un gruppo di «barbuti, sedicenti islamici», come direbbe lui, l’hanno ucciso. Magari festeggeranno la riuscita dell’impresa, l’ennesimo attentato omicida che insanguina e terrorizza Mogadiscio. Un gruppetto di volgari squallidi killer ha privato la Somalia di un suo grande uomo. E tutti noi di un insostituibile amico.

La notizia della sua morte ce l’ha data Maryan, la sorella. Come prima cosa ha pronunciato parole di pace: «Non vogliamo vendette, e speriamo che non ci siano», ha detto. «Mio fratello e tutta la mia famiglia abbiamo sempre creduto nella pace. Spero che in qualche modo il suo sacrificio aiuti la pace in Somalia».

Nulla di ciò che viene donato va perduto, recita un proverbio africano. Yusuf Bari-Bari al suo Paese ha dato la vita, e non sarà avvenuto invano. Noi, se riusciremo a realizzare quell’“ultima missione” la faremo anche per lui.

Francesco Cavalli, Roberto Cavalieri,
Davide Demichelis, Angelo Ferrari, Raffaele Masto,
Alessandro Rocca, Luciano Scalettari