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Un silenzio carico di tensione, interrotto dal rumore dei sassi sbarrati, tronchi abbandonati sulle rotaie, occhi sbarrati di turisti che guardano verso il cielo limpido. Questa è la scena che si è ripetuta ieri fino a sera, tra le alte pendici delle Ande peruviane vicino a Cusco, nella zona che dalla stazione ferroviaria conduce al celebre sito archeologico di Machu Picchu. Circa 1.400 turisti erano rimasti “varados”, bloccati sui binari o nei pressi delle stazioni, a causa di proteste che hanno paralizzato il trasporto ferroviario.


Che cosa sta succedendo
Le proteste sono esplose per un motivo preciso: la scadenza di una concessione di 30 anni per il servizio di autobus che collega la stazione del treno al sito archeologico. I manifestanti chiedono che venga assegnata una nuova azienda per garantire tale servizio. Per “bloccare” davvero il collegamento, i manifestanti hanno collocato rocce e tronchi sulle rotaie; al contempo, c’è stato un confronto con la polizia, che ha portato a circa 14 persone civili ferite.
Le autorità sono intervenute: nella notte (ora di Cusco) la polizia ha temporaneamente sbloccato le rotaie, permettendo l’evacuazione di circa 1.400 turisti. Rimangono, però, circa 900 visitatori ancora nella zona, che le autorità invitano ad allontanarsi a piedi, dato che il trasporto via ferrovia e bus è bloccato. Per molti, Machu Picchu non è solo una meraviglia archeologica: è un simbolo nazionale, la cartolina peruviana nel mondo intero, un motore economico vitale per le comunità locali, turistiche e non. Il flusso turistico è una delle principali fonti di reddito per molte famiglie downstream: guide turistiche, piccoli albergatori, venditori di artigianato, tassisti, ristoratori.
Quando qualcosa come una decisione amministrativa (il cambio di concessione per il servizio di autobus) sfocia in protesta e paralisi, l’impatto economico si sente subito. Non solo per i turisti bloccati, ma per le persone che contano su quegli arrivi ogni giorno. Nei villaggi vicini, le piccole pensioni già prevedevano occupazione piena in questa stagione; nei mercatini vicino alle stazioni ferroviarie, gli artigiani iniziano a vedere le tavole vuote. Sono gli effetti collaterali di una protesta politica e sociale che ha una domanda chiara: chi deve essere responsabile, chi deve gestire il trasporto, con quale criterio, con quale affidabilità.
C’è anche un tema ambientale: Machu Picchu è fragilissimo, sia per il contesto naturale (precipitazioni, erosione, vegetazione instabile) sia per la pressione turistica ormai costante. Ogni decisione sul trasporto, sulla gestione delle rotaie, sul numero di visitatori, sulle infrastrutture “accessorie” (bus, sentieri, servizi igienici) incide su questo equilibrio precario. Ancora, il diritto delle comunità ad essere ascoltate. Le proteste mostrano che la concessione di lunga durata non basta: le condizioni di servizio, la qualità, la sicurezza, il rispetto per l’ambiente e le persone che ci lavorano, sono al centro della contendibilità. La richiesta di nuova azienda non è meramente tecnica, è anche politica e simbolica: chi controlla l'accesso a Machu Picchu, gestisce parte del suo destino.
Voci, immagini, sensazioni
C’è chi attende sotto il sole alto, altri che cercano riparo all’ombra dei pini o dietro un muro di pietre. Zaini buttati a terra, occhiali da sole che riflettono montagne, mappe piegate e poi dimenticate. “Pensavamo di entrare prima dell’alba”, dice una coppia di spagnoli che aveva programmato una visita alle prime luci. L’alba l’hanno vista, ma la salita resta lontana: il tratto tra la stazione e la cittadella Inca è interrotto, nessun autobus, nessun treno.
Un ragazzo locale offre acqua in bottiglia: gesto piccolo, ma significativo. Qualche venditore ambulante gira qua e là, sperando di intercettare chi resta bloccato più a lungo. Si vedono gavettoni di polvere che salgono dalle rotaie, le ruote dei bagagli rotolare su pietre irregolari. Tra i turisti, c’è chi si mette scarpe da trekking, zaino in spalla, pronto a fare a piedi quello che di solito si fa in bus: il sentiero che da Ollantaytambo o da altri punti vicini conduce a Machu Picchu. Alcuni accettano la prospettiva con spirito di avventura, altri con fastidio, stanchezza, perfino paura: la zona è montagnosa, il sole è forte, l’altitudine si fa sentire.
Ma c’è anche solidarietà: piccole chiacchierate in lingue miste — inglese, spagnolo, italiano, francese — tra sconosciuti che condividono bottiglie d’acqua, consigli su come affrontare la camminata, sorrisi di incoraggiamento. Qualcuno racconta di avere fatto centinaia di foto del sito archeologico nella vita, ma mai una così sospesa, così “in attesa”.


Le implicazioni future
Chi decide cosa succede da oggi? Le autorità locali devono scegliere una nuova azienda di trasporto: criteri trasparenti, garanzie di qualità, sicurezza, costi giusti. Il rischio — sottolineato oggi dai manifestanti — è che la nuova concessione possa ripetere errori del passato, o che venga assegnata senza che vengano ascoltate le comunità interessate.
Inoltre, bisogna pensare al piano infrastrutturale: se le proteste possono bloccarsi per i binari, cambiare il trasporto su gomma o su sentieri alternativi, forse è il momento di rivedere come accedere al sito in modo che non sia così facilmente vulnerabile ai conflitti. E naturalmente, va considerato l’impatto turistico: lunghe attese, disagi, incertezza possono scoraggiare i visitatori futuri. Per Machu Picchu, uno dei Siti Patrimonio dell’Umanità più conosciuti al mondo, non basta essere bello: serve che la fruizione sia sostenibile, rispettosa, affidabile. Serve che chi arriva, anche solo per una giornata, senta che il luogo è accogliente, che dietro le mura di pietra ci sia qualcuno che fa il possibile perché niente venga rotto — né le rotaie, né la fiducia.
Quanto durerà questa protesta? I manifestanti hanno dichiarato che la protesta continuerà fino all’avvio delle operazioni della nuova azienda. Quanto a lungo rimarrà bloccato il trasporto, quali costi pagheranno le comunità locali, e che immagine resterà nei ricordi degli avventori: forse una camminata imprevista, ma anche un’esperienza che ha mescolato bellezza, fatica, incertezza — un ricordo differente di Machu Picchu.
Foto © Reuters



