Anche questa mattina i media ci raccontano di un femminicidio. La vittima ha 14 anni. L’assassino ne ha 18. Una ragazza non è più tornata a casa dopo essersi incontrata con il suo ex ragazzo. La scia di sangue che la cronaca fa entrare ogni giorno nelle nostre vite, nelle nostre case, nelle nostre famiglie è senza fine. Ma ciò che colpisce è che sempre più a fare notizia di morti cruente sono ragazzi giovanissimi. Ragazzi che dovrebbero essere sulla rampa di lancio per dare avvio al loro progetto di vita e che invece lo hanno già perso. Martina è morta per sempre. Il suo assassino vivrà un tempo infinito in carcere a causa della gravità del reato commesso. Il più grave in assoluto. Vite spezzate. Famiglie divorate dal dolore. Progetti di vita interrotti.

Anche in questo caso, il motivo sembra essere l’incapacità ad accettare la fine di una relazione. Stiamo però parlando di giovanissimi. Una ragazza di 14 anni con uno di 18 anni: come mai oggi una storia d’amore adolescenziale diventa, nel momento in cui finisce, lo scenario in cui si consuma un omicidio?

Credo che ci siano tre aspetti da considerare. Il primo aspetto è l’adultizzazione precoce che accelera tutto nelle vite dei giovanissimi. Per cui una cotta adolescenziale viene vissuta come se si trattasse di un amore completo. E lì dentro, in questo bisogno di sentirsi grandi dentro cose che dovrebbero essere piccole, tutto diventa gigantesco: il mettersi insieme, il fare coppia stabile, vivere la sessualità, litigare per questioni che probabilmente sono futili però si declinano in vissuti enormi, giganteschi, travolgenti. C’è l’accelerazione degli agiti, ovvero di ciò che si fa. Ma anche l’amplificazione dei vissuti emozionali, ovvero di ciò che si sente. Tutto sembra enorme, perché lo si vive in modo enorme, quando invece il nostro cervello – a quell’età – ha la capacità per produrre pensieri piccoli e immaturi.

Questo è il secondo aspetto che va sottolineato. I nostri figli - così accelerati e che a 14 anni vivono storie di coppia che seguono codici e copioni adulti - psichicamente sono però fragilissimi e immaturi. Dovremmo aiutarli a entrare nella vita a piccoli passi, insegnandogli e invitandoli a fare cose alla portata della loro capacità di saperle gestire dentro lo spazio ristretto dell’immaturità cognitiva che fisiologicamente li connota. Invece, i nostri figli corrono, bruciano tappe in un tempo che non permette di andare piano, ma che esalta il mito del tutto veloce, del tutto e subito. E che riscontra una fatica enorme del mondo adulto nel sostenere una crescita che sa aspettare e non brucia le tappe nel desiderio di vivere in fretta ciò che invece chiede di essere scoperto con calma.

 

Infine, storie come queste ci raccontano quanto la diseducazione emotiva, affettiva e sessuale - che vede i maschi “prendersi” le ragazze, pretenderle anche quando ti dicono no, rimanere ciechi di gelosia di fronte a un rifiuto, non reggere la rottura di un legame - reclami un urgentissimo lavoro educativo sul fronte dell’educazione emotiva, affettiva, sessuale e di genere.

Resta il dato di fatto, che anche in questo caso, di fronte all’incapacità di stare nel principio di realtà associato alla fine di un amore, un giovane maschio – da poco adulto – colpisce e uccide perchè dentro a quel principio di realtà non ci sa stare, non lo sa abitare. Così la forza che uccide diventa anche in questo caso il manifesto di una generazione che - connotata da una fragilità enorme - trasforma il senso di impotenza in potenza assassina.

(Foto di copertina, Ansa)