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Paolo De Chiesa dallo sci è passato, era il "giovane" della Valanga azzurra che negli anni Ottanta ne ha raccolto l'eredità, da tempo è la voce tecnica di Raisport sullo sci alpino, lo vediamo scendere sulle piste di coppa del mondo con la telecamera, mostrandoci le insiedie dei tracciati. La cognizione di causa non gli manca e la esprime con grande amarezza.
Oggi si celebrano i funerali di Stato per Matteo Franzoso, lo sciatore delle Fiamme Gialle, scomparso una settimana fa a La Parva in Argentina. Dopo due morti possiamo sperare che si cambi?
«Lo spero bene, perché dopo la morte di Matilde la presa di coscienza non c'è stata. Tutto è andato avanti come prima. Questa volta è morto un altro ragazzo e allora sembra che si siano fermati finalmente, ci saranno i funerali di Stato, niente in contrario ma non ci andrò, commemorerò in privato, ma quello che non mi stanco di chiedere è un cambiamento concreto, visto che stiamo assistendo a una mattanza. Mi domando, tra l'altro come mai per Matilde i funerali di Stato non ci siano stati: eppure era un'atleta dell'Esercito».


Che cosa si deve fare?
«Adesso è tardi, si doveva fare prima. I due casi più gravi, quello di Matilde Lorenzi, a mio avviso archiviato troppo in fretta, e quello di Matteo Franzoso, dal mio punto di vista sono stati causati per problemi di sicurezza: non mi convince affatto la ricostruzione secondo cui Matilde sarebbe morta per una facciata in pista, tra l'altro non c'è stata autopsia. Vedendo il video del soccorso dall'alto girato da un telefonino, mi sono convinto del fatto che Matilde abbia sbattutto su un cordolo di neve, rimosso il giorno dopo, e che questo l'abbia fiondata fuori dalla pista: io ritengo che quel cordolo, dal quale comunque si sarebbe dovuto sciare a una certa distanza, andasse protetto. (Del tutto diversa la valutazione della Procura di Bolzano che ha archiviato il caso, ritenendo che l’evento mortale sia stato causato da un fatto meramente accidentale neppure astrattamente qualificabile come reato: a questo link la ricostruzione della vicenda giudiziaria, Ndr). Matteo Franzoso è morto perché c'erano misure di sicurezza del tutto insufficienti, dunque vane. Non è che si possa andare avanti come nulla fosse».
Eppure si dice che si sono fatti negli anni passi avanti sulla sicurezza.
«È vero che in Coppa del Mondo sono andati molto avanti in fatto di protezioni, reti, air fence, materassi, ecc, quindi di pista non esci, al massimo ti fai male, ti puoi anche ammazzare se cadi a 140 km all'ora, picchi il collo, la testa, tutto può succedere per carità, però non esci di pista come è successo a Matilde Lorenzi e a Matteo Franzoso. Il problema è che, invece, nelle piste d'allenamento la sicurezza non è neanche lontanamente paragonabile al campo di gara di Coppa del Mondo. Allora io mi chiedo, dato che le velocità in allenamento sulla pista da discesa libera è la stessa della Coppa del Mondo, che differenza c'è tra una Coppa del Mondo e un allenamento? È come se in Formula 1 provassero le macchine su circuiti senza vie di fuga, anziché come fanno su circuiti con gli stessi standard della corsa, mi sembra molto semplice».
Se fosse il genitore di un ragazzino che fa gare, a che cosa gli suggerirebbe di fare attenzione?
«Visti i tempi che corrono, se avessi un bambino preferirei che facesse un altro sport, perché trovo le misure di sicurezza sulle piste di allenamento per i ragazzi approssimative: tracciati su più file collocati, in parallelo, senza spazi tra l’uno e l’altro, vicino ai bordi della pista, con alberi magari non protetti o protetti in modo sommario. I tempi sono cambiati: gli sci di oggi, anche a livello di ragazzini, vanno forte, già a sette anni, sfrecciano a 50-60 all'ora., Quando perdi il controllo e vai fuori pista e finisci a sbattere contro qualcosa, ci sono conseguenze molto gravi. Se avessi un bambino che fa sci agonistico adesso non sarei per niente tranquillo. C'è troppa esasperazione, i ragazzini fanno troppe gare, fanno solo pali, non sono neanche tanto più capaci tecnicamente, perché si snobba lo sci libero in pista e si pensa soltanto a fare porte, questo non porta neanche ricambio generazionale: sono tantissimi a cominciare, ma dove sono i ragazzi e le ragazze che dovranno sostituire le grandissime, le Goggia, le Brignone che sarebbero state campionesse anche in Burundi e non fanno testo?».
Dove sono, perché facciamo fatica a trovare ricambi?
«Un progetto giovanile funziona quando arrivano tanti ragazzini a certi livelli, ma siamo vicini all'Olimpade di Milano Cortina e i ricambi non ci sono, vuol dire che il sistema è sbagliato. Oltretutto è troppo costoso: ragazzini di 10-12 anni spendono per fare gare delle cifre che arrivano a 20.000 euro, ma chi se lo può permettere? Io direi che lo sci ormai è uno sport povero per ricchi, perché alla fine se non si può permettere di allestire le piste di allenamento più sicure vuol dire che mancano i soldi».



