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L’incontro “Il Pluralismo religioso nelle città italiane”, organizzato dal Comune di Milano e dal Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano e Fondazione Ambrosianeum
«Soprattutto in tempi di guerra, come quelli che stiamo vivendo, la religione non deve mai essere la scusa per giustificare i conflitti. La religione va usata invece per aprire un dialogo tra pluralità, costruendo su di esso un percorso verso la pace». Le parole di Walter Nuzzo, vice presidente del comitato interfedi, inquadrano al meglio il senso dell’incontro “Il Pluralismo religioso nelle città italiane”, organizzato dal Comune di Milano e dal Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano e Fondazione Ambrosianeum, nell'ambito del progetto europeo RE.TO. (Religions&Tollerance), di cui fanno parte oltre a Milano, anche città, enti e istituzioni spagnole, portoghesi e olandesi. Confronto, integrazione e tolleranza sono stati i concetti primari su cui si è basato il convegno andato in scena nella giornata di ieri tra Palazzo Reale e Fondazione Ambrosianeum.
Ad aprire i lavori del mattino è stata la Vicesindaca del capoluogo lombardo Anna Scavuzzo, delegata tra l’altro al dialogo con le comunità religiose e promotrice dell’evento: «Il progetto RE.TO. durerà nel tempo, sicuramente per tutto il 2026. Il dialogo va portato avanti privilegiando la pluralità. Abbiamo il dovere di creare spazi in cui istituzioni e comunità religiose possano incontrarsi e ascoltarsi reciprocamente è necessario per rafforzare la comprensione reciproca e promuovere la convivenza fra sensibilità e spiritualità diverse. Siamo chiamati a ricordare ciò che ci ha segnato e capire cosa vogliamo ci segni in futuro. Per il bene comune tutti devono essere liberi di esprimere la propria fede, nel rispetto ovviamente delle norme». Il coinvolgimento delle grandi città, con un filo conduttore unico tra centro e periferie, è ritenuto un tassello fondamentale per gestire il complesso puzzle di tutte le religioni presenti in Italia. «L’amministrazione pubblica ha enorme responsabilità verso questo progetto. Il dialogo non va sviluppato portando opinioni sterili, bensì riflessioni e contenuti accurati. In questo momento non servono scontri tra “tifoserie” e banalità, ma grande concretezza», ha ribadito Mattia Abdu, Presidente del Municipio 1 di Milano.
RE.TO per quanto riguarda l’Italia ha sviluppato un focus specifico sul confronto interreligioso a Brescia, Milano e Torino. Queste tre sono tra le città italiane con la percentuale di stranieri più alta. E di conseguenza culture diverse portano religioni diverse. Numerosi professori universitari ed esperti lavorano da tempo all’analisi di come il tessuto sociale assorbe la diversità di culto. «Torino è un modello virtuoso del dialogo interreligioso, nonché laboratorio delle pratiche di inclusione e sperimentazione. Negli ultimi 25 anni il capoluogo piemontese ha organizzato numerose iniziative per promuovere questo dialogo. I nostri studi smentiscono l’idea di una secolarizzazione radicale e dimostrano come gli enti locali della città si stiano trasformando sempre più in autorità dotate di agency su luoghi di culto, dress code religiosi e tutto ciò che ne deriva», ha sottolineato Stefania Palmisano, Professoressa Associata presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino. A cui ha fatto eco la collega Maddalena Colombo, professoressa di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università Cattolica: «Il concetto di integrazione va inteso in modo più profondo e sociologico. E deve portare con sé elementi concreti. Ci deve essere una collaborazione tra chi arriva in un determinato luogo e chi già ci risiede. A Brescia ad esempio da un lato notiamo un attivismo dei sindacati e delle diocesi a favore dei diritti degli immigrati, che a loro volta creano un senso di associazionismo coerente».


Tra i vari interventi, spicca quello in chiusura di Monsignor Luca Bressan, membro della Consulta interreligiosa Regione Lombardia (organismo di consultazione e confronto che promuove il dialogo e l'integrazione tra le diverse fedi religiose presenti sul territorio): «Come Consulta crediamo che per costruire la pace serve andare in profondità nel dialogo interreligioso. Bisogna essere disposti ad accettare la sfida del cambiamento».
Accettare il cambiamento significa anche accogliere e saper vivere a contatto con le varie comunità religiose. Quest’ultimo concetto ha rappresentato il tema della seconda parte del convegno, che si è tenuta nella Sala Falck di Fondazione Ambrosianeum. Protagonisti la Pastora Daniela di Carlo (Comunità Valdese), Roberto Jarach, (Memoriale della Shoah di Milano), Giovanna Giorgetti (Unione Buddhista Italiana), Don Stefano Guidi (Fondazione Oratori Milanesi) Sana El Gosairi (Associazione Jasmine), Raisa Labaran (Centro Culturale Islamico di Brescia). Ognuno in rappresentanza di una corrente religiosa differente. Tutti uniti dalla volontà di dialogare tra fratellanza e tolleranza.
«Tra i cardini del Forum delle Religioni, nato nel 2004, c’è la promozione della libertà di culto e l’impegno contro la discriminazione religiosa. Siamo chiamati a riconoscere l’altro soggetto come soggetto valido qualunque sia la sua religione. Nessuna fede deve essere vista come un nemico», ha spiegato la Pastora Di Carlo. Sulla stessa linea c’è anche El Gosairi, che ha usato come esempio “Iftar in piazza”, l’evento pubblico di beneficenza che si svolge durante il mese sacro del Ramadan e che la comunità musulmana ha realizzato più volte a Milano e in Lombardia: «Si tratta di un momento per fare conoscenza dell’altro, dove il cibo diventa linguaggio universale. L’Iftar non è solo osservanza religione, ma soprattutto un momento di condivisione. Conoscersi, dialogare, stare insieme. Tutti elementi per abbattere muri e pregiudizi». Pregiudizio è una parola che fa paura infine a Roberto Jarach, presidente del Memoriale della Shoah di Milano: «In questo periodo specifico la religione è usata per sviluppare concetti basati sull’essere “anti qualcosa”. Invece dovremmo dire basta all’odio e sfruttare la fede in modo positivo».





