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epa12002491 A Taiwan Air Force Mirage 2000 fighter jet approaches Hsinchu Airbase for landing, in Hsinchu, Taiwan, 01 April 2025. The Chinese People's Liberation Army conducted joint exercises around Taiwan, simulating air and land strikes as a warning to Taiwan's independence advocates, which Beijing views as a threat to national sovereignty. EPA/RITCHIE B. TONGO
La relazione tra Cina e Giappone, due potenze economiche e politiche cardine dell’Asia orientale, è precipitata in una delle crisi diplomatiche più gravi degli ultimi anni. La causa scatenante è stata una dichiarazione del nuovo primo ministro giapponese Sanae Takaichi sulla possibilità che Tokyo possa intervenire militarmente in caso di un attacco cinese contro l’isola di Taiwan, un’affermazione percepita da Pechino come una violazione dell’ambiguità strategica mantenuta da Tokyo negli ultimi decenni.
Il nodo Taiwan: dall’ambiguità alla rottura strategica
Il fulcro della crisi è il ruolo di Taiwan nello scacchiere regionale. La Repubblica Popolare Cinese considera l’isola come parte del proprio territorio nazionale da riunificare – anche con la forza se necessario. Tokyo, storicamente cauta sull’argomento, ha fino ad ora adottato una ambiguità strategica, sostenuta anche dagli Stati Uniti, che guarda con preoccupazione alle ambizioni di Pechino senza impegnarsi apertamente in un conflitto.
Durante una sessione parlamentare il 7 novembre 2025, Takaichi ha affermato che un attacco cinese contro Taiwan potrebbe costituire una “minaccia esistenziale” per il Giappone, potenzialmente giustificando l’uso delle Forze di Autodifesa per difendere un alleato in conflitto. Questo linguaggio supera la prudenza tradizionale di Tokyo e segna un punto di svolta politico-diplomatico.
Reazioni di Pechino: diplomazia dura e retorica bellicosa
La reazione cinese è stata immediata. Il console generale cinese a Osaka ha pubblicato su X un messaggio fortemente aggressivo – poi rimosso – in cui si suggeriva che chiunque “tentasse di sfidare la linea rossa” sarebbe stato punito violentemente, rifacendosi alla retorica della Marcia dei volontari, l’inno della Repubblica Popolare Cinese tratto da un canto militare della Seconda Guerra Sino-Giapponese, usato oggi nei discorsi politici di Pechino.
Il Ministero degli Esteri cinese ha insistito affinché Takaichi ritrattasse le sue parole, accusando Tokyo di interferire negli affari interni cinesi e mettendo in dubbio la stabilità politica regionale. Entrambi i paesi hanno convocato gli ambasciatori l’uno dell’altro e presentato formali proteste diplomatiche.
I termini diplomatici si sono tradotti rapidamente in attriti militari reali. A inizio dicembre 2025, il Giappone ha denunciato che caccia cinesi hanno puntato i radar di controllo sul proprio aerei militari F-15 vicino all’isola di Okinawa, un’azione qualificata da Tokyo come “pericolosa e irresponsabile”. Pechino ha respinto le accuse, definendo la presenza giapponese una provocazione durante le esercitazioni cinesi.
Questo tipo di incidente non è isolato e riflette un quadro più ampio di attività militari crescenti nella regione (“joint bomber flights” e pattugliamenti cinesi insistenti), che alimentano la percezione di un graduale aumento del rischio di scontro diretto attorno a Taiwan e nelle acque contigue.


Impatto economico e culturale
La crisi ha provocato ricadute economiche immediate. Le autorità cinesi hanno invitato i cittadini a non recarsi in Giappone, con conseguente cancellazione di centinaia di migliaia di voli e viaggi verso il paese. Compagnie come Air China, China Southern e China Eastern offrono rimborsi e modifiche gratuite fino a fine anno.
Anche il settore culturale ne soffre: distribuzioni cinematografiche giapponesi sono state posticipate e scambi educativi e turistici rallentati, in un’azione che – pur non essendo sanzioni formali – agisce da pressione economica e simbolica su Tokyo.
Le prospettive: nessuna fine rapida in vista
Nel background di questa crisi si intrecciano memorie storiche profonde a partire dalla Seconda Guerra Sino-Giapponese (1937-1945) e la figura simbolica della Marcia dei volontari, che ancora oggi permea il linguaggio politico cinese. Non si tratta di retorica casuale: la narrativa della resistenza contro l’aggressore giapponese è un elemento costitutivo dell’identità nazionale cinese e amplifica la sensibilità di Pechino verso qualsiasi percepita aggressione nipponica. Allo stesso tempo, la Cina interpreta le dichiarazioni di Tokyo come una rottura non solo con l’ambiguità strategica ma con l’ordine stabilito nel dopoguerra, minacciando di rimodellare i rapporti di potere nell’Indo-Pacifico.


Gli esperti diplomatici concordano che questo stallo non si risolverà in tempi brevi: secondo il ministro degli Esteri di Taiwan, le tensioni tra Cina e Giappone potrebbero persistere per almeno un anno, in mancanza di segnali chiari di de-escalation.
Nel frattempo, sia Pechino sia Tokyo continuano a difendere pubblicamente le proprie posizioni. Takaichi ha cercato di ricalibrare il suo linguaggio, sottolineando che Tokyo rimane fedele al noto “principio di una sola Cina” sancito nei comunicati del 1972 ma evidenziando la volontà di tutelare la propria sicurezza nazionale.








