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Stelle di David sui muri. Fino a pochi anni fa erano simboli di un passato terribile, ma da studiare a scuola. Oggi compaiono a sfregio e ci passiamo accanto, al massimo un sospiro. A volte accompagnati da svastiche e da frasi ingiuriose contro gli ebrei. Le pietre di inciampo per far memoria delle vittime della Shoah vengono distrutte, come le immagini dei testimoni che ancora osano, sotto scorta, ricordare quel che è avvenuto.
Liliana Segre, bollata come agente sionista, a 95 anni. In Italia va ancora bene, nonostante anche
qui a ogni manifestazione e per qualsiasi causa le bandiere palestinesi sventolino insieme agli slogan contro gli ebrei. Nelle università un ragazzo con la kippah rischia lo sputo, l’insulto, se non il linciaggio. Ad Amsterdam la statua di Anna Frank è guardata a vista da quattro agenti in divisa, dopo ripetute aggressioni.
A scuola il suo Diario l’abbiamo letto tutti, pare inutilmente. Come inutili sembrano i benemeriti viaggi nei sacrari del martirio di un popolo, nei lager di Polonia e Germania. A Leicester, nel Regno Unito, sono stati messi al bando i prodotti made in Israele. In alcune città irlandesi le farmacie non vendono più prodotti israeliani. Il capo della polizia di Berlino ha caldamente suggerito di non indossare segni di appartenenza al popolo ebraico in alcuni quartieri.
Ebrei = Israele = Netanyahu = Gaza. In questa successione, illogica ma ormai abituale, c’è il tragico peccato della storia occidentale: identificare una religione con un popolo e un popolo con i suoi governanti. Non è solo ignoranza, ma un travisamento voluto, strategico: per far ricadere dal vertice della parabola alla base la colpa, e quindi la necessaria condanna ed espiazione. Cioè persecuzione, cancellazione di una stirpe, di una “razza”. Purtroppo ci sono voluti secoli perché con il concilio Vaticano II si cancellasse l’orribile marchio di «perfi di Giudei». Per chiedere perdono delle atrocità commesse su chi era chiamato «deicida». Perché riconoscessimo che la nostra fede inizia con la fede di Israele, e che Gesù era, ed è, ebreo. Per questo soprattutto i cristiani hanno il dovere morale di essere chiari con le parole, attenti al loro significato. Gli ebrei non sono responsabili dei massacri a Gaza.
Gli ebrei sono credenti, gli israeliani sono gli abitanti di uno Stato che ha il diritto di esistere, che ha subito orribilmente il peggior pogrom dagli anni di Hitler e Stalin e che ha un primo ministro da cacciare. Non si può imputare a un popolo una colpa eterna, chiudendo un occhio o addirittura giustificando i suoi esecutori. C’è un antisemitismo di estrema sinistra, figlio di un’ideologia che vive sull’equazione Israele = Usa, dove Usa è il male. C’è un antisemitismo di estrema destra, figlio dell’ideologia perversa e suprematista della razza. Sono estremi che si toccano e fanno presa sui più giovani. Che i cristiani saldamente restino immuni da questa tentazione tremenda, caparbiamente alfieri di pace, di comprensione, di sostegno all’umano che non ha carta d’identità, lingua, religione, cultura. Che i fratelli ebrei non si sentano, ancora una volta, da noi traditi.
(foto Reuters)
Questo articolo è una collaborazione con la rivista Credere
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