Il premio Nobel per la Medicina 2025 è stato assegnato a tre scienziati – due americani e un giapponese – per aver scoperto i meccanismi della “tolleranza immunitaria periferica”, che permette al nostro sistema di difesa di non rivolgere le proprie armi contro l’organismo stesso.

Si chiamano Mary E. Brunkow, Fred Ramsdell e Shimon Sakaguchi: insieme, in anni di ricerca, sono riusciti a individuare le cellule T regolatorie (T-reg), che si comportano come veri e propri guardiani del sistema immunitario.

«Le loro scoperte sono state decisive per comprendere il funzionamento del sistema immunitario e il motivo per cui non tutti sviluppiamo gravi malattie autoimmuni», ha dichiarato Olle Kämpe, presidente del Comitato per il Nobel.

Il nostro esercito interno

Per farci un’idea di come funzioni il nostro sistema immunitario possiamo pensare a un esercito, in cui ogni gruppo di soldati ha un compito specifico e differente. A combattere sono le cellule T, i linfociti (appartenenti alla grande famiglia dei globuli bianchi).

In particolare le cellule T helper stanno di pattuglia: appena individuano una possibile minaccia esterna allertano le altre cellule del sistema immunitario, che si preparano ad attaccare.

Le cellule T killer sono quelle in prima linea, dedicate all’eliminazione delle cellule infettate da virus o batteri e ad attaccare le cellule tumorali.

Per cogliere i segnali di pericolo i linfociti hanno in superficie dei sensori (chiamati T cell receptor) che permettono loro di capire quando l’organismo è minacciato. Tali recettori sono molto diversi tra loro, a seconda dei geni che li costituiscono, e ciò fa sì che possano individuare microrganismi patogeni prima sconosciuti.

A che cosa servono le cellule T-reg?

«Quando parliamo del nostro sistema immunitario», spiega Enrico Lugli, responsabile del Laboratorio di Immunologia traslazionale dell’Irccs Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano), «ci riferiamo in generale al concetto di “tolleranza”, cioè alla sua capacità di non generare una risposta immunitaria nei confronti del proprio corpo e verso sostanze non nocive provenienti dall’esterno (come per esempio il cibo)». Un principio già noto alla scienza, ora ampliato dalla recente scoperta. «La novità da parte di Sakaguchi sta nell’aver individuato, nel 1995, una popolazione specifica di linfociti, le cellule T regolatorie appunto, che inibiscono la risposta immunitaria. In pratica, invece di mediare una reazione proinfiammatoria – come ci aspetteremmo normalmente dai linfociti – al contrario le T-reg esercitano una sorta di controllo interno». Ciò fa sì che la risposta immunitaria non avvenga in maniera eccessivamente vigorosa: quando è troppo forte, infatti, possiamo avere l’effetto opposto per cui, invece di proteggerci da una patologia, è il sistema immunitario stesso a esserne la causa scatenante.

Tutto parte da una proteina

Come si è arrivati a questa conclusione? «I tre ricercatori premiati hanno percorso strade diverse», prosegue l’immunologo. «Brunkow e Ramsdell nel 2001 hanno isolato una proteina – in gergo scientifico “fattore di trascrizione” – chiamata Foxp3: si tratta di un gene che a sua volta va a regolare l’espressione di molti altri geni e che risulta mutato in topi caratterizzati da una malattia autoimmunitaria che colpisce diversi organi. Inoltre, gli scienziati hanno visto che c’è una particolare malattia dei bambini (maschi), chiamata IPEX in cui il gene Foxp3 è a sua volta mutato. Di conseguenza, si è scoperto che in questa patologia le cellule T-reg o non sono presenti o sono in quantità inferiore o funzionano male. Nel 2003, Sakaguchi, Ramsdell e altri hanno quindi dimostrato che Foxp3 è una sorta di carta d’identità proprio delle cellule T regolatorie».

Il valore della scoperta

Il punto cruciale della scoperta non è tanto l’aver individuato il gene che regola la malattia infantile (sono molte infatti le patologie in cui un gene manca o è “difettoso”). «Il concetto nuovo è che questo gene è la base, la carta d’identità dello sviluppo di una popolazione specifica di cellule, che negli studi successivi si è rivelata determinante per controllare la risposta immunitaria», precisa Enrico Lugli.

Parlando di ricerca e di cure, le ricadute pratiche di questa scoperta riguardano ambiti diversi: da quello delle malattie autoimmuni a quello dei trapianti fino a quello oncologico.

Gli studi in corso sulle cellule T regolatorie non hanno dato per ora risultati univoci. «Nel campo delle malattie autoimmuni», dice il ricercatore, «si sta ancora cercando di capire se ci sia un’alterazione di questi linfociti. Quanto ai trapianti, si sta sperimentando una sorta di terapia cellulare». Di cosa si tratta? «Si cerca di isolare queste cellule in laboratorio ed espanderle, in modo da ottenere numeri maggiori, per poi trapiantarle nel paziente (una sorta di autotrapianto), allo scopo di controllare il rigetto e la tolleranza d’organo». Anche in questo settore, però, la strada è ancora in salita, a causa delle difficoltà di manipolazione delle cellule T-reg e della loro reinfusione nel malato.

Una speranza contro il cancro

La strada più promettente al momento è invece quella della lotta ai tumori. «Qui il discorso è esattamente contrario», dichiara l’immunologo. «Nella maggior parte dei tumori solidi sono presenti cellule del sistema immunitario, in particolare le T regolatorie. In questo caso esse svolgono la loro funzione inibitoria, rallentando la risposta immunitaria, favorendo quindi l’espansione del tumore stesso, che addirittura produce una serie di fattori che richiamano queste cellule». Si innesca dunque un circolo vizioso, che non fa che alimentare la massa tumorale.

«Gli studi in corso nei nostri laboratori puntano perciò a bloccare le cellule T-reg», aggiunge Lugli. «Sono già in fase di sperimentazione clinica alcune immunoterapie – con anticorpi monoclonali – che vanno a bersagliare specificamente questa popolazione di cellule per cercare di eliminarla. Togliendo questo ulteriore freno alla risposta immunitaria, si potrebbe potenziare la cura immunoterapica. Stiamo già ottenendo risultati promettenti per alcuni tipi di tumori molto aggressivi, come quello del pancreas».

Chi sono i tre premiati

Chi sono i tre scienziati premiati a Stoccolma? Mary E. Brunkow, 64 anni, è Senior program manager all'Institute for Systems Biology di Seattle (Usa); Fred Ramsdell, 65 anni, è cofondatore e consulente scientifico della Sonoma Biotherapeutics di San Francisco (Usa); Shimon Sakaguchi, 74 anni, è professore emerito all'Immunology Frontier Research Center dell'Università di Osaka, in Giappone.