È partita da Creta e sta navigando verso Gaza Meri Calvelli storica attivista e operatrice umanitaria della Striscia di Gaza con la Ong Acs (Associazione Cooperazione e Solidarietà) quando la raggiungiamo al telefono «con il mare mosso e il vento bello forte. Noi non abbiamo una barca a vela, ma a motore e riusciamo a viaggiare. Abbiamo superato la Grecia e siamo sulla rotta verso Gaza. Più avanti, rispetto a noi, c'è la prima parte della Summud Flotilla che era già partita. Le imbarcazioni si aggiungono man mano, un po’ alla volta, per poi ricongiungersi tutti insieme verso la costa di Gaza».

Un ricongiungimento che avviene piano piano in un’operazione che non è una missione facilissima.
«Accade di tutto, anche che le barche si rompano, oltre all'attacco che c'è stato da parte di Israele con i droni  prima che una parte della Sumud Flotilla raggiungesse la Grecia.  Attacco che ha rotto e deteriorato alcune imbarcazioni, tra cui anche la nave ammiraglia, che si sono dovute fermare per essere riparate. Il viaggio è molto lungo, il mare non è navigabile, soprattutto in questa stagione, le imbarcazioni non sono né flotte militari né grossi yacht di armatori, ma sono barche spesso rimediate per riuscire a mettere insieme una flotta di solidarietà in qualche modo anche simbolica, come s’è detto sin dall'inizio».

Qual è l’obiettivo?
«Porre l'attenzione sulla situazione di Gaza, rompere questo assedio e - pur non essendo un mercantile - portare quel poco di aiuti umanitari che dal punto di vista simbolico significano proprio mettere in evidenza quello che sta vivendo la Striscia di Gaza da due anni. Rompere il blocco navale che Israele ha sempre realizzato e ha sempre messo in atto. Da sempre. Da quel che mi ricordo solo una nave della Flotilla nel lontano 2008 riuscì a raggiungere le coste di Gaza. Quella fu la prima e l’unica. Anche allora c'era un grosso assedio, Gaza stava chiusa da mesi e mesi e mesi, quindi nessuno poteva entrare, nessuno poteva uscire, nessuno poteva portare aiuti umanitari, che sono poi sempre la cosa fondamentale».

Che notizie avete da là?
«Quello che ci dicono i nostri operatori: la gente è completamente stremata. Tutto quel poco che arriva deve essere acquistato al mercato nero. L’unico modo che hanno per riuscire a mangiare qualcosa è tramite la Gaza Foundation, che in teoria dovrebbe distribuire il cibo all'interno della striscia. In realtà, è stata un'operazione che ha contribuito soltanto a eliminare le organizzazioni internazionali che fino a oggi si erano occupate di distribuire gli aiuti umanitari dentro alla striscia. A Gaza ci sono sempre stati profughi che necessitavano di essere aiutati».



Per quanti anni ha avuto contatti con Gaza?
«Sono presente personalmente nella Striscia di Gaza da oltre vent'anni con una delle organizzazioni non governative, la ACS, Associazione Cooperazione e Solidarietà. Avevamo progetti di emergenza, soprattutto perché, ripeto, appunto, la situazione dentro la Striscia di Gaza non inizia il 7 ottobre 2023. C'è sempre stata la necessità, almeno per quello che ho visto io, di riuscire a dare una risposta alle emergenze, che sono sempre state quelle di attacchi, chiusure, bombardamenti, impossibilità di movimento per la popolazione».

Mai come oggi però.
«Questi ultimi due anni hanno dato quella che noi chiamiamo la soluzione finale per Gaza che desideravano da tanto tempo. Se prima questa situazione la vedevamo a pezzi su Gaza, di zona in zona, adesso è completamente allargata, quasi tutta la striscia ormai è completamente distrutta, anche le strutture sanitarie, le case sono sbriciolate e non hanno più la possibilità di riemergere immediatamente. Se prima i piccoli pezzi bombardati riuscivano a essere ricostruiti in maniera tempestiva, adesso sarà molto lunga la ricostruzione casomai si dovesse trovare una soluzione per la striscia».

In questo momento lei è fuori dalla striscia di Gaza. Vi hanno costretto a uscire?
«Tutti. Le Ong, ma anche le Nazioni Unite, siamo stati allontanati. Siamo la parte che assolutamente Israele non vuole agisca all'interno. Ci abbiamo provato a rientrare in qualche modo, è stato impossibile. Ci riesce - a rotazione - il personale medico di Emergency e Medici senza frontiere seppur con molta difficoltà. Sono gli stessi medici di Emergency - che oltretutto lavorano anche con i nostri staff - che ci raccontano quanto sta succedendo. Noi riusciamo a mandare i fondi al nostro staff locale che poi, a sua volta, li distribuisce per riuscire a comprare l'acqua, perché si paga tutto, come dicevo, al mercato nero. Le Ong stanno agendo in questo modo. Tutti sono vulnerabili, tutti hanno bisogno di tutto, ormai non c'è più nessuna distinzione».



Cosa l'ha spinto a partire?
«Il non poter stare in mezzo alla mia gente e cercare di fermare una delle più grandi ingiustizie che stanno commettendo nei confronti della popolazione civile. Credo che sia assolutamente importante essere qui e lo stiamo vedendo anche dalla mobilitazione mondiale, dall'interesse e dal coinvolgimento ormai non soltanto più dei soliti “pro Palestina”. Ma di tutto il mondo della società civile, di tutti quelli che in qualche modo ritengono che il diritto internazionale debba essere rispettato. L'ingiustizia non può essere assolutamente la risposta a quello che sta succedendo. Tutte le coscienze si stanno svegliando, speriamo convincano a uno stop di questa situazione, perché non si può andare avanti così».

Sono due anni di massacri della popolazione civile.
«Cose così le leggevamo soltanto nei libri di storia e cinquant’anni dopo. Sono due anni che stiamo assistendo a un genocidio alla luce del sole, in diretta giorno dopo giorno. Lo guardiamo, lo viviamo, lo percepiamo, lo sentiamo: ognuno di noi ha i contatti per sapere cosa succede là. Credo che anche il più ignorante, il più cattivo debba rendersi conto che non si può continuare così».

A Berlino domenica erano in 100mila per strada. Cosa le ha suscitato l’intervento di Mattarella?
«Ha capito cosa sta succedendo e in cuor suo non lo può accettare. Va data una chance alla diplomazia. Crediamo ancora che vada utilizzata per abbassare le armi e fermare la violenza. Per scongiurare il baratro di una terza guerra mondiale che già stiamo vivendo a pezzi».

65 anni a Febbraio. Non ha paura?
«Ho vissuto per anni là e ho subito svariati attacchi così come tutta la popolazione di Gaza. La paura c'è sempre, ma la devi sfidare o siamo tutti sottomessi. Mi immedesimo nei palestinesi che non possono nemmeno provare a rientrare nonostante la volontà di farlo. In qualche modo, insomma, qualcuno lo deve fare anche per loro. È quello che ci chiedono. So benissimo che gli israeliani non sono delicati, che fanno male. Per questo invochiamo l'attenzione di tutta la società civile, ma soprattutto dei Governi che possono proteggere al massimo e fermare questa inaudita violenza senza senso».

Cosa le fa più rabbia?
«Che avrebbero potuto fermare tutto anche prima del 7 ottobre se ci fosse stata la volontà di farlo. La Palestina, invece, è considerata una striscia strategica per le potenze tra l'Oriente e l'Occidente. Ha una posizione talmente strategica che non hanno mai voluto realmente bloccare il conflitto. Non a caso ci hanno messo Israele, l'hanno armata. Questo è stato il progetto, fatto, portato avanti e sostenuto dall’America, dagli USA e dal resto del mondo. Purtroppo, stanno vincendo il militarismo e gli interessi economici e strategici. Sulla loro pelle ed è assurdo quando più di tre quarti della popolazione, invece, chiede pace e giustizia».