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Parli o meno, si penta o no, riveli o taccia per sempre, va riservato un grazie corale a Roberto Casari (nella foto, Ansa), ex presidente della "Coop rossa" Cpl concordia, oggi agli arresti nel quadro dell’inchiesta sugli appalti di Ischia. Per la perla di humour regalata ai carabinieri e alle cronache al momento dell’arresto. Poche parole che lo apparentano a giganti come Chaplin e De Funés, Eduardo e Benigni.
Al momento della perquisizione, gli inquirenti ritrovano in casa Casari una busta con 16 mila euro in contanti e una scritta sul retro: Baffo. Chiedono spiegazioni, e qui arriva il genio, anzi esplode, trabocca, rimbomba. Lo sciagurato rispose: “Servono per la necessità della mia famiglia, in caso mi accadesse qualcosa. Baffo sono io, che i baffi li ho davvero”. Chapeau. Omaggio all’arte. In un colpo solo, Casari cancella la globalizzazione della finanza, quella che sposta milioni di euro con un clic sulla tastiera, e torna all’età del materasso, ai soldi sotto il mattone, all’albero degli zoccoli della “finanza de noantri”.
Casari tiene famiglia e la nutre in contanti, all’antica. In comode buste da 16mila. Non solo. Per ricordarsi, firma la busta. Un memo in caso di improvvisa smemoratezza, di Alzheimer incipiente, o di peggiori mancamenti. Come facevano i personaggi della Macondo di Marquez, che scrivevano i nomi delle cose sugli oggetti temendo di perderne senso e memoria, Casari firma il salvadanaio di famiglia e forse toglie senso a qualcos’altro, che ha a che fare la storia della cooperazione, la diversità morale di certa sinistra, tutte cose che qui a dire il vero non c’entrano. Qui si tratta di celebrare un lampo di genio. Frasi che rimangono agli annali, tipo “Abbiamo una banca?”. Oppure: “Mario Chiesa? Solo un mariuolo”. Piccoli esempi di microstoria che dipingono un’epoca, la riassumono in un flash. La passano alla Storia.
La Storia che viviamo, e che Casari si incarica di impacchettare in un’epigrafe degna di Marziale, è quella di un Paese in cui 4 giovani su 10 sono disoccupati, l’ineguaglianza misurata dall’indice di Gini è più alta che nel resto d’Europa (31,9% contro il 30,7, fonte Eurostat), quasi un italiano su 3 è a rischio povertà (il 28,4%, dice l’Istat), un appalto su tre è truccato (dice la Guardia di Finanza) e 1,2 miliardi sono stati sequestrati l’anno scorso per reati tributari scoperti (mancano quelli non scoperti). E’ un’epoca in cui, mentre ci impoveriamo, assistiamo tutti a una transizione infinita, mai risolta. Quella da Paese “corrotto e infetto” – copyright l’Espresso, lontani anni ‘60 - a Paese normale. Siamo ancora lì, c’è stata di mezzo una cosa chiamata Tangentopoli, che di buono ha prodotto una serie tv con ottimi ascolti.
Che in questa tonnara sociale ed economica, qualcuno ci tratti da scemetti del quartierino ci fa ormai sorridere più che infuriare di disperazione, perché è oltre il limite del serio, sconfina nel comico, trasuda di grottesco come certi ritratti di Arcimboldo. Come no, caro Baffo. Quei soldi sono per le spese di famiglia, il Baffo della firma sei tu (ogni riferimento a fatti o persone reali…), e tenerli in una busta o in un puff come facevano altri grandi comici della Prima Repubblica non fa differenza. Siamo noi che mal pensiamo. Abbiamo smesso di credere che Babbo Natale esista davvero. E addirittura pensiamo che anche l’Uomo Ragno non goda di ottima salute.



