È il 2015 quando don Antonio Ruccia, parroco di san Giovanni Battista a Bari fa mettere una culla termica a pochi metri dall’ingresso della chiesa. Da allora la culla ha accolto solo un bimbo, Luigi, che è stato tempestivamente consegnato alle cure del Policlinico della città. «In una caldissima domenica d’estate» ricorda don Ruccia; «se ne interessò una Tv svedese che mandò il servizio in prima serata. Per dire che le società economicamente elevate devono ancora capire cosa vuol dire amare la vita e non buttarla».

Perché di questo si tratta, anche nel caso di Enea il piccolo lasciato la domenica di Pasqua nella culla per la vita della clinica Mangiagalli a Milano. «Di un gesto d’amore: innanzitutto siamo di fronte a una situazione limite che non va commentata né giudicata. La mamma in primis non va assolutamente giudicata. Anzi, dobbiamo dire grazie a questa donna, e al papà, perché non si tratta di un abbandono, ma di un affidamento. Sia in Mangiagalli sia qui a Bari chi entra non abbandona, ma ti affida il suo piccolo. È un atto ampiamente positivo perché ritiene che il figlio debba avere una vita che tu in quel momento ritieni di non poter concedere».

Poi, è chiaro «se la madre ci ripensa il bimbo torna a lei. Ma la culla termica di Bari e quella di Milano sono sinonimo di vita, amore, un segno che forse non riusciamo a capire; sono l’augurio che la sua mamma gli fa perché quel bimbo possa ricominciare a essere come tutti gli altri: circondato dall’affetto».



Del resto un tempo, ricorda don Ruccia, «quando le famiglie non potevano crescere un figlio, soprattutto qui al Sud, lo affidavano a uno zio senza figli o al vicinato. A dire che è la comunità che si preoccupa di fare crescere i bambini. La culla termica è l’opportunità di dare vita, futuro e uscire dalla logica che troppo spesso dimentichiamo e che Gesù ci ha ripetuto nella Pasqua: non siamo chiamati a essere crocifissi, ma degli schiodanti ovvero coloro che tolgono dalla morte gli altri».

Davanti, poi, a chi ha puntato il dito contro Milano che deve essere una città per tutti, sottolineando l’aspetto economico di questa vicenda don Ruccia conclude «ho i miei dubbi che sia solo un problema economico, questo è un bimbo italiano. Penso più a una situazione difficile. Mi concentrerei, però, di più sul fatto che quel bimbo è stato salvato! Le culle sono segno di speranza, vita e disponibilità».