PHOTO
Maggiore precisione dei termini per comprendere quello che è stato sempre chiaro alla Madre di Dio: è Lei stessa redenta e perciò non può dirsi “redentrice” allo stesso livello di Gesù. È quanto emerge nel corposo documento di ben 80 punti nel documento Mater Populi fidelis, presentato il 4 novembre dal Dicastero per la dottrina della fede, a firma del prefetto, cardinale Víctor Manuel Fernández, e del Segretario per la sezione dottrinale, monsignor Armando Matteo, approvato da papa Leone XIV il 7 ottobre scorso. La nota, frutto di un lungo e articolato lavoro collegiale, offre la possibilità di riscoprire il fondamento biblico della devozione verso Maria, ma anche vari contributi dei Padri, dei Dottori della Chiesa, della tradizione orientale e degli ultimi Pontefici. Si fa chiarezza su alcuni appellativi, come “corredentrice” e “mediatrice”. Anche se alcuni titoli mariani possono essere spiegati attraverso una corretta esegesi, infatti, si ritiene preferibile evitarli per non generare confusione, anche per l’uso a volte distorto che ne viene fatto sui social, o da parte di gruppi che usano la figura della Vergine per ingenerare paure apocalittiche, o strumentalizzandola a fini politici. Si legge infatti al punto 44: «Anche quando non chiediamo la sua intercessione, Lei si mostra vicina come Madre, per aiutarci a riconoscere l’amore del Padre, a contemplare il dono salvifico di Cristo, ad accogliere l’azione santificante dello Spirito. È così grande il suo valore per la Chiesa che i pastori devono evitare ogni strumentalizzazione politica di questa vicinanza della Madre. Papa Francesco ha messo in guardia in diverse occasioni e ha manifestato la sua preoccupazione riguardo alle “proposte ideologico-culturali di diverso genere che vogliono appropriarsi dell’incontro di un popolo con sua Madre”». E ancora, al punto 22: «È sempre inappropriato usare il titolo di Corredentrice per definire la cooperazione di Maria. Questo titolo rischia di oscurare l’unica mediazione salvifica di Cristo e, pertanto, può generare confusione e squilibrio nell’armonia delle verità della fede cristiana, perché «in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,12). Il punto è rimanere nell’ambito di una corretta visione cristologica, in cui Maria entra come Madre di Cristo, come umanità che non intacca la divinità, e viene considerata sempre in relazione, in funzione di Cristo. Come ha affermato il cardinale Fernández, a essere affrontato nello specifico è il rapporto della Vergine con i credenti e «non è necessario inventare altri concetti per valorizzare il ruolo di Maria nella vita dei fedeli». Il documento – ha precisato il porporato – risponde a dubbi e proposte giunte alla Santa Sede negli ultimi trent’anni in materia di devozione e titoli mariani (anche la richiesta di un nuovo dogma sul ruolo di Corredentrice), dunque «appartiene al magistero ordinario della Chiesa e dovrà essere preso in considerazione nello studio e nell’approfondimento di argomenti mariologici».
L’obiettivo è vivere e promuovere al meglio la devozione mariana, che «sta al cuore della fede della Chiesa», come ci dice monsignor Riccardo Bollati, Capo Ufficio Dottrinale del Dicastero per la dottrina della fede, docente di teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e curatore, assieme al presidente della Fondazione Ratzinger, padre Federico Lombardi, della pubblicazione delle omelie inedite di papa Benedetto XVI.
Qual è stata la ragione fondamentale che ha spinto a elaborare questa Nota?
«La Mater Populi fidelis nasce dall’esigenza di precisare l’insegnamento della Chiesa sulla devozione dei fedeli nei confronti della Madre di Gesù, Maria di Nazaret, una devozione che sta al cuore della fede della Chiesa. La maternità di Maria è infatti presente nel nostro credo, che, parlando di Gesù, dice: “Nato da Maria Vergine”. Quella di Maria è una maternità speciale, è una maternità verginale, frutto di un intervento diretto di Dio nella storia. Perciò è importante, per la stessa Chiesa e per la sua fede in Cristo, chiarire bene ed evitare ogni possibile ambiguità o imprecisione che può toccare la devozione nei confronti di Maria».
Qual è il messaggio chiarificatore di fondo che s’intende dare?
«Ribadire che Maria è inseparabile da Gesù, suo Figlio, e ci conduce continuamente a Lui. I cuori di Gesù e di Maria sono una cosa sola e operano in piena, totale e definitiva comunione e sintonia. Maria è infatti il prototipo del credente, che segue Dio con semplicità, si affida e si abbandona totalmente a Lui, e diviene una cosa sola con Lui. E la fede di Maria è l’esempio realizzato di una fede cristiana adulta: in Lei la fede opera pienamente per mezzo della carità. Inoltre, come dice Dante, Maria è “di speranza fontana vivace”, perché intercede efficacemente per tutti coloro che si rivolgono a Lei. Nella persona di Maria si coniugano compiutamente fede, speranza e carità. Maria stessa, dal Cielo, nella piena visione del Signore e in comunione con Gesù Risorto e con tutti i santi, esercita la sua funzione materna nei confronti della Chiesa e dei credenti, intercedendo per loro e operando affinché i loro cuori si aprano con fiducia e semplicità all’azione di Dio, alla sua grazia. In questo senso, come dice il Concilio Vaticano II, Maria è “Madre nell’ordine della grazia” (Lumen Gentium 61)».
Il documento cita più volte papa Francesco, che in due occasioni si espresse negativamente sull’appellativo di Mediatrice, spiegando che la Vergne stessa non rivendicò mai nulla per sé, ma si mise sempre alla sequela del Figlio…
«Per Maria è chiaro che tutto è relativo a Gesù e al suo Spirito, tutto è relativo a Dio e rinvia a Lui. Per Lei, come per san Paolo, è chiaro che “uno solo è, infatti, Dio e uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù” (1Lettera a Timoteo 2, 5-6). Maria stessa riceve perciò la salvezza da Dio, anche se ciò avviene con una grazia particolare che la rende “prima” dei redenti, e le dona un’umanità libera dai vincoli del peccato originale. È Lei stessa redenta, e perciò, pur collaborando alla Redenzione operata da suo figlio Gesù e pur essendo la prima di coloro che cooperano con Lui, in senso proprio e preciso, non può dirsi “redentrice” allo stesso livello di Gesù. Perciò alcuni titoli riferiti a Maria, come per esempio quello di “corredentrice”, non sono adatti a esprimere bene tutto questo e, per essere correttamente compresi, esigerebbero tante ulteriori specificazioni e precisazioni che la Chiesa ha ormai ritenuto conveniente non utilizzarli: infatti, quei titoli rischierebbero di creare più problemi rispetto agli onori che pure tante persone, sicuramente in buona fede e da rispettare, vorrebbero tributare a Maria».
Tanto più che, come ha spiegato il cardinale Fernandez alla presentazione del documento non si vuole certo sminuire la devozione a Maria «tesoro prezioso per la Chiesa», ma valorizzarla. Quanto la precisione dei termini può aiutare la devozione?
«La corretta espressione della fede esige realismo, cioè umile e precisa adesione alla realtà dei misteri che Dio rivela e a un linguaggio che sia in grado di significarli adeguatamente. Rifugge ogni esagerazione, sia massimalista sia minimalista: occorre stare alla realtà delle cose così com’è e ad un linguaggio che esprima in modo corretto quella realtà! Ogni parola veicola e codifica, infatti, un significato particolare e rinvia ad una realtà espressa da quel significato. Il linguaggio che noi usiamo non è, infatti, indifferente ai significati che esprime, dato che alcune li esprimono meglio ed altre parole meno bene o peggio. Utilizzare quindi termini che non esprimono in modo adeguato le realtà e i misteri della fede introdurrebbe una dissociazione fra quelle stesse realtà e la coscienza dei credenti, e questo non va bene, perché va contro la verità. La Chiesa deve perciò tenere conto di tutto questo anche nel modo di esprimere la devozione dei credenti, che non è un ambito abbandonato ai sentimenti di ognuno o all’arbitrio di quanto ciascuno pensa di credere. Tutto quello che la Chiesa ci propone è un aiuto per stare davanti alla realtà dei misteri rivelati da Dio, al di là di quello che a noi piacerebbe pensarne. La Chiesa, col suo insegnamento, deve farsi carico di tutto questo: ecco perché il Dicastero per la dottrina della fede ha ritenuto di pubblicare questa Nota, che è stata autorevolmente approvata da Leone XIV. Per noi cristiani la fede in Gesù Cristo non è qualcosa di arbitrario o in balìa di quello che a ognuno pare: la fede è sempre ed insieme personale e comunitaria, e vive di un ininterrotto dialogo e immedesimazione e comunione fra la fede dei singoli e la fede espressa autorevolmente dalla Chiesa, che i singoli sono chiamati a comprendere ed a cui sono chiamati ad aderire con l’uso di tutta la loro intelligenza e volontà. La stessa fede dei singoli fedeli nutre e dona sostanza, a sua volta, alla fede della Chiesa tutta, in un dialogo continuo. In questo dialogo, un compito fondamentale di discernimento spetta alla gerarchia ecclesiale, cioè al Papa ed ai vescovi. Pertanto, la gerarchia della Chiesa ha la libertà, ed anzi ha il dovere, di richiamare ciò che corrisponde in modo corretto alla fede della Chiesa e ciò che non vi corrisponde, dato che riconosce fra i suoi compiti quello di richiamare a tutti l’autentica espressione della fede in Cristo e di tutto ciò che ne deriva, segnalando eventualmente ciò che non va. E la devozione dei cristiani o attinge con fedeltà alla fede della Chiesa o costruisce sulla sabbia. Se si legge attentamente la Nota, tutto questo si comprende bene».
Non c’è il rischio di attese deluse o commenti negativi (da tempo un movimento forte soprattutto negli Usa chiedeva con insistenza la proclamazione del dogma di Maria Corredentrice)?
«Dal momento che la Nota interviene anche per richiamare l’attenzione su alcuni titoli mariani che col tempo si sono rivelati sempre più inadatti ad esprimere la verità che intendono proporre, cioè la “cooperazione” di Maria all’opera redentrice di Cristo, sicuramente chi è solito usare quei titoli rimarrà deluso. La Chiesa è un luogo di dialogo in cui si è chiamati anzitutto a cercare, riconoscere e affermare l’evidenza di alcune ragioni, in fedeltà a quello che Dio ha rivelato, e non un’arena in cui si fronteggiano delle fazioni. E poi la Nota tratta di argomenti affrontati dal Dicastero già 30 anni fa (abbondano le citazioni del cardinale Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI, che fu prefetto dell’allora Congregazione, ndr.). È, a volte, anche il luogo del confronto acceso, ma sempre nell’apertura sincera alla comprensione delle ragioni dell’altro, soppesando e cercando con umile lealtà quegli argomenti che sono più probanti, cioè che tengono più conto di tutti gli elementi in gioco, rispettando l’armonia e la gerarchia delle verità di cui si tratta, specialmente se si tratta di verità rivelate da Dio e proposte a credere dalla Chiesa. Val la pena ricordare che la Nota tratta di argomenti di fatto già studiati e chiariti dal Dicastero trent’anni fa, accettati da tutti i cardinali e Vescovi che allora ne facevano parte, e che san Giovanni Paolo II stesso smise di usare titoli come “corredentrice” e “mediatrice di tutte le grazie”. Sono fatti di cui non si può non tenere conto se si ama la verità più delle proprie opinioni».
Certamente non mancano titoli per rivolgersi a Maria…
«La tradizione offre ancora tanti altri titoli importanti alla devozione mariana dei cristiani. Per esempio, riprendendo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, la Nota propone con forza il titolo di Madre: Maria è “Madre”, Madre di Gesù, Madre della Chiesa e Madre nostra. In questo titolo stanno insieme tutta la realtà della funzione salvifica di Maria e tutta la tenerezza che noi credenti nutriamo per Lei».
Fausta Speranza
Nella foto: Pentecoste di Tiziano (Bridgeman)





