«Osare la Pace», immaginare il futuro di un mondo in pace. Il titolo dell’incontro a Roma da oggi al 28 ottobre 2025 racchiude l’inquietudine del «tempo della forza», che ha riabilitato la guerra come strumento principe per perseguire i propri interessi e disegni, umiliato le istituzioni nate per realizzare pace, calpestato il diritto internazionale di fronte a uno dei più drammatici conflitti del nostro tempo. Lo dice Andrea Riccardi inaugurando, all’Auditorium Parco della Musica, la tre giorni che riunisce, dall’Europa e da altri continenti, diecimila persone, centinaia di capi religiosi e politici. È lo «spirito di Assisi», dal nome della città dove Giovanni Paolo II, il 27 ottobre 1986, riunì i leader delle diverse religioni per parlare di pace in un momento in cui il Pianeta era diviso nei due grandi blocchi della Guerra fredda. Da allora Sant’Egidio ha incessantemente portato la forza del dialogo e della preghiera in tante città del mondo.

A Roma partecipa anche Sergio Mattarella che, tra i forti applausi della platea, pronuncia un appello per «cercare e osare la pace». Definisce «teppistici» quei comportamenti «che, censurabili nelle relazioni personali, hanno la pretesa di essere considerati fatti politici nelle relazioni internazionali»; si chiede «cosa induce a osare immani risorse sull’altare della guerra e non per costruire la pace». Parlando del Medio Oriente, dell’Ucraina e del Sudan, il presidente della Repubblica cita il «nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra» di Pio XII, aggiungendo che «le notizie giunte da Gaza ci dicono che i processi di pace necessitano di perseveranza». Cita il Grande imam di Al-Azhar, Ahmed Al-Tayyeb, che ha sostenuto la «necessità per tutti di alzare lo stendardo della pace, non quello della vittoria». Mattarella invita anche a «iniziative negoziali per l’Ucraina, mentre i bambini soffrono la spietatezza dell’aggressione russa».

Alla cerimonia inaugurale intervengono Al-Tayyeb, massima autorità dell’islam sunnita, e Pinchas Goldschmidt, presidente dei rabbini europei. La loro presenza simboleggia la volontà di «osare la pace» di fronte a quello che accade in Terra Santa. La pace – dice il rabbino capo – non è una «fragile tregua tracciata su una pergamena», ma richiede «la mano ferma del chirurgo, la penna paziente del poeta. Esige la sapienza di vedere il volto dell’altro non come un nemico, ma come un compagno di viaggio». Aggiunge: «La pace non si conquista con le grida dei guerrieri, ma con i sussurri del noi. Non è cortesia insipida, è il sapore forte di nemici che diventano amici».

 



L’imam Al-Tayyeb ha ricordato l’urgenza di riconoscere la Palestina nella direzione dei due Stati, oltre a sottolineare come il dialogo tra le religioni può affermare l’equità in sfide cruciali, come quelle tecnologiche. Annuncia una carta etica per l’intelligenza artificiale, la cui idea era stata progettata con Papa Francesco, «il mio defunto fratello» con cui aveva firmato il Documento sulla Fratellanza Umana di Abu Dhabi nel 2019. Oggi – dice alla platea – un gruppo congiunto composto da Al-Azhar Al-Sharif, dal Vaticano e dal Consiglio dei saggi musulmani sta lavorando per completare questo documento, affinché «diventi un riferimento etico e umano globale che regoli il corretto rapporto tra gli esseri umani e le moderne tecnologie da essi prodotte e per garantire che l'intelligenza artificiale rimanga al servizio degli esseri umani, non un’arma contro di essi».

 



Per il cardinale Matteo Zuppi, «molti dicono: rassegnati, accettala, la guerra è una triste ma ineluttabile realtà della storia dell’uomo. Addirittura qualcuno pensa che sia necessaria, perché purifica e genera cambiamento. Nessuno dice davvero di volerla, ma molti si arrendono ad essa». Invece, i tanti Abele uccisi dalla follia della guerra e la saggezza della Bibbia ricordano che «Dio è consapevole dell’istinto che ci domina se non lo dominiamo, tanto che nel fratello vediamo un nemico, un concorrente. Dio ci aiuta sempre a trovare la fraternità e ci chiede conto di dove sta nostro fratello».

Commuove con la memoria di Hiroshima la giapponese Kobo Kondo: è un’hibakusha, una sopravvissuta al bombardamento atomico, che ricorda l’urgenza del disarmo nucleare. Racconta l’incontro con il capitano Robert Lewis, copilota dell'Enola Gay, l'aereo che sganciò la bomba: «Quando sentii il suo nome, mi bloccai. Era l'uomo che avevo odiato per così tanto tempo, l'uomo che avevo immaginato come un mostro. Ma quando lo guardai negli occhi, vidi qualcosa di completamente diverso. Era umano. Tremava e i suoi occhi erano pieni di dolore». Quando il conduttore gli chiese come si sentiva dopo il bombardamento, lui rispose sommessamente: «Mio Dio, cosa abbiamo fatto». In quel momento, ha detto Kondo «tutto dentro di me cambiò. Capii che se avessi continuato a odiarlo, avrei soltanto continuato a odiare la violenza che è dentro tutti noi».

 



«La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male», era la fulminante definizione della guerra di Papa Bergoglio.

Osare la Pace vuol dire non rassegnarsi al pessimismo: «Passare dall’età della guerra – spiega Andrea Riccardi – all’età del dialogo e del negoziato non è la magia di un giorno, ma, quando comincia il dialogo, già si gusta il sapore della pace. Perché dialogare è scoprire l’altro come se stesso». È quello che si proverà a fare nei forum della tre giorni dedicati alle problematiche emergenti del nostro tempo (pace, disarmo, crisi ambientale, migranti, democrazia e solidarietà) fino alla cerimonia finale, il 28 ottobre, davanti al Colosseo con Papa Leone XIV e gli altri leader delle religioni.

Per spiegarne lo spirito, il fondatore di Sant’Egidio cita Niente di nuovo sul fronte occidentale, il libro bruciato dai nazisti del romanziere tedesco, combattente nella prima guerra, Erich Maria Remarque. Parla un soldato diciannovenne che scopre l’umanità del nemico: «Compagno, io non ti volevo uccidere… Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri cani al par di noi, che le vostre mamme sono in angoscia per voi come le nostre per noi, e che abbiamo lo stesso terrore, e la stessa morte e lo stesso patire? Perdonami compagno, come potevi tu essere mio nemico? Se gettiamo via queste armi e queste uniformi, potresti essere mio fratello». Spiega Riccardi: «Noi vogliamo cominciare il dialogo prima che un altro compagno muoia».