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La storia di un incontro, di una relazione, di una rete che si costruisce con l’arrivo di un figlio. Arianna Ciucci, tre ragazzi ormai ventenni, un marito e una professione scelta con l’anima, quella di ostetrica, nel suo libro La buona nascita racconta gravidanza, parto e cura alla luce del suo percorso trentennale a fianco delle famiglie. E spiega, con dolcezza, come sostenerle. «Intanto mi piace allargare lo sguardo: quando nasce un bambino, nasce sì una mamma, ma pure un papà. La persona che abbiamo accanto è la prima risorsa, bisogna coinvolgerla in tutto il percorso e uscire dalla mentalità che sia solo la mamma a dover essere supportata. Occorre allargare lo sguardo all’intera famiglia». Poi bisogna prepararsi. «È necessario un percorso di consapevolezza sull’importanza di creare, nel tempo della gravidanza, i punti di riferimento che serviranno dopo il parto: una buona comunione con il partner, la sintonia, la ricerca di quelle realtà presenti sul territorio che possano dare sostegno». Certamente il primo tessuto è quello familiare: «Nonni, zii, amici stretti. Devono però entrare nell’idea del prendersi cura, del nutrire chi nutre. Occorre dar spazio ai genitori perché imparino a fare i genitori, occorre alleggerirli di tutto quello che non è importante in quell’istante perché si possano dedicare loro alla cura del bambino. Non serve chi si sostituisce ma chi permette di crescere».
E se i nonni sono lontani o lavorano? «La rete può essere creata con altre famiglie che stanno vivendo lo stesso percorso. Il gruppo di pari può dare delle risorse importanti, normalizzare l’esperienza, essere un confronto, un aiuto nella solitudine. Le mamme si ritrovano molto sole, il partner sta a casa un mese al massimo poi torna al lavoro». Negli altri si può trovare una risposta, uno scambio di informazioni. «Poi c’è la rete di professionisti, di esperti del settore: vanno valorizzate le realtà sul territorio che possono lavorare sull’autoefficacia, le associazioni, i consultori. Nella nostra società manca la cultura della genitorialità che una volta si apprendeva perché si vedeva la propria mamma avere altri figli e le sorelle diventare genitori. Ora non la si ha: si ha bisogno di qualcuno che aiuti a leggere il percorso, a trovare le risorse personali». Anche i genitori sono cambiati negli anni: «Sono molto più informati rispetto a quanto non lo fossi io, e questo porta a fare le cose molto bene. Ma talvolta questa grossa conoscenza fa sì che si abbia il timore di non fare abbastanza bene. La performance sta massacrando il materno. Due cose bisogna tenere in mente: l’originalità della propria storia, quindi il fatto che non c’è soluzione che vada bene per tutti, ma il cammino è personale. Poi la consapevolezza che, come ogni genitore del mondo, si sbaglia, si è persone umane. Quindi evviva la conoscenza che ci permette di offrire al nostro bimbo il meglio, ma evviva anche l’essere genitori umani, di un’umanità che ha un limite».



