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La comicità si regge da sempre sui luoghi comuni e sugli stereotipi, portati iperbolicamente all’eccesso ma capaci di essere immediatamente riconosciuti dal pubblico. I comici ricorrono spesso a frasi fatte, gesti e simboli consolidate nell’immaginario collettivo, quindi immediatamente riconoscibili. Il ricorso al luogo comune riporta un punto di vista generalmente accettato, utile nei meccanismi della persuasione e della retorica come strumento concettuale per rappresentare il reale. Ma questa potenziale riconoscibilità immediata può generare il falso stereotipo, una sorta di scorciatoia cognitiva con cui si tende erroneamente a identificare un soggetto attraverso le caratteristiche assegnate arbitrariamente al gruppo a cui appartiene.
È quello che ha fatto, per esempio, Luciana Littizzetto ironizzando sulle suore di clausura che a Napoli hanno fatto festa a papa Francesco. L’attrice, con il suo solito sarcasmo, le ha etichettate come “represse”, pur all’interno di una battuta. Ottenendo, per tutta risposta, un “post” in cui le religiose la invitano ad “aggiornare il suo manzoniano immaginario delle monache di vita contemplativa”. Il sottile riferimento alla monaca di Monza mette alla berlina proprio la tendenza alla semplificazione e alla retorica facile della Littizzetto. Suore e preti rappresentano (insieme a carabinieri e medici) alcune fra le “categorie” spesso protagoniste delle barzellette e frequentemente rappresentate attraverso luoghi comuni e modi di dire che rappresentano modi di pensare tanto generalizzati quanto lontani dal vero.
Lo conferma anche la loro popolarità mediatica, che li ha visti rappresentati nella pubblicità o che ne ha fatto oggetto di racconto nella fiction. Affinché una battuta o una gag funzionino, bisogna che ne è eventuale bersaglio sia egli stesso il primo ad apprezzare e a sorriderne. Altrimenti la presunta comicità può trasformarsi velocemente in offesa gratuita, ottenendo l’effetto opposto a quello ricercato. Lo sa bene – o dovrebbe averlo imparato – anche chi prende di mira i difetti altrui, soprattutto quelli fisici. Come ha fatto durante il suo intervento al Festival di Sanremo Alessandro Siani nei confronti di un bambino sovrappeso seduto in prima fila, a cui ha chiesto se riusciva a entrare nella sedia, rincarando poi la dose con altri “apprezzamenti” sulla stessa linea. Dai comici professionisti ci si aspetta decisamente un po’ di sforzo in più per far ridere il pubblico in maniera intelligente invece che ricorrendo a parole e rappresentazioni trite e ritrite.
È quello che ha fatto, per esempio, Luciana Littizzetto ironizzando sulle suore di clausura che a Napoli hanno fatto festa a papa Francesco. L’attrice, con il suo solito sarcasmo, le ha etichettate come “represse”, pur all’interno di una battuta. Ottenendo, per tutta risposta, un “post” in cui le religiose la invitano ad “aggiornare il suo manzoniano immaginario delle monache di vita contemplativa”. Il sottile riferimento alla monaca di Monza mette alla berlina proprio la tendenza alla semplificazione e alla retorica facile della Littizzetto. Suore e preti rappresentano (insieme a carabinieri e medici) alcune fra le “categorie” spesso protagoniste delle barzellette e frequentemente rappresentate attraverso luoghi comuni e modi di dire che rappresentano modi di pensare tanto generalizzati quanto lontani dal vero.
Lo conferma anche la loro popolarità mediatica, che li ha visti rappresentati nella pubblicità o che ne ha fatto oggetto di racconto nella fiction. Affinché una battuta o una gag funzionino, bisogna che ne è eventuale bersaglio sia egli stesso il primo ad apprezzare e a sorriderne. Altrimenti la presunta comicità può trasformarsi velocemente in offesa gratuita, ottenendo l’effetto opposto a quello ricercato. Lo sa bene – o dovrebbe averlo imparato – anche chi prende di mira i difetti altrui, soprattutto quelli fisici. Come ha fatto durante il suo intervento al Festival di Sanremo Alessandro Siani nei confronti di un bambino sovrappeso seduto in prima fila, a cui ha chiesto se riusciva a entrare nella sedia, rincarando poi la dose con altri “apprezzamenti” sulla stessa linea. Dai comici professionisti ci si aspetta decisamente un po’ di sforzo in più per far ridere il pubblico in maniera intelligente invece che ricorrendo a parole e rappresentazioni trite e ritrite.



