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Rachele Somaschini è una ragazza pimpante. Di Cusano Milanino, classe 1994, ama correre in macchina. È iscritta al campionato di gare in salita e non la ferma la fibrosi cistica che la accompagna dalla nascita. Ha un carattere luminoso. È testimonial della fondazione “Ricerca fibrosi cistica” e ci racconta di sé gioiosamente.
Il tuo nomignolo è salty girl: vuol dire che ti senti una ragazza salata?
«È un nomignolo creato da un fotografo che ha immortalato diverse ragazze malate e che nasce dalla constatazione che noi che abbiamo la fibrosi abbiamo la pelle salata. Pensa che una prima diagnosi della patologia si ha col test del sudore, che ne valuta la quantità di sodio presente. La malattia mi è stata diagnosticata con uno screening fatto nei primi giorni dopo la nascita e, da allora, ho iniziato a curarmi».
In che cosa consiste tale patologia?
«La fibrosi cistica altera le secrezioni di molti organi che, risultando più dense, contribuiscono al loro danneggiamento. A subire la maggiore compromissione sono bronchi e polmoni, tendendo a portare all’insufficienza respiratoria. Poi possono essere colpiti anche il pancreas, l’intestino, il fegato… Sino a qualche anno, fa erano gli stessi malati a non parlarne per la difficoltà di spiegarla. È una malattia genetica fra le più gravi, ma chi guarda le mie foto e non mi conosce potrebbe pensare che io sia semplicemente una ragazza minuta, che prende la vita come viene e cerca di sorridere sempre».
Come hai vissuto l’adolescenza?
«Ho abbandonato l’università, perché lo stile di vita sedentario avrebbe potuto diventare un serio problema. Lo scorso anno, sui campi di gara, ho conosciuto Nicola, dieci anni più grande di me, cioè dieci anni d’esperienza in più sui motori. Così, col supporto economico e morale della mia famiglia e con lui accanto, ho concretizzato il sogno di correre in macchina, con una Mini potenziata. Aiuto papà nella sua azienda di abrasivi, e sono testimonial della fondazione per la Ricerca sulla fibrosi cistica. Abbiamo molte iniziative fra cui “A bordo con Rachele”, cioè banchetti per l’informazione e la raccolta fondi».
Come sei arrivata alle corse?
«Dopo una prima gara, per passione verso i motori: l’associazione “Un sogno per vincere”, che aiuta i ragazzi con fibrosi cistica, mi ha messo a disposizione una macchina per una corsa in salita con quaranta tornanti. Un ambiente diversissimo dalla pista, familiare e genuino. Me ne sono subito innamorata, grazie ai moltissimi piloti che mi hanno riempito di attenzioni e aiutato a imparare i tracciati a memoria».
Questa competizione è una metafora della tua vita?
«Ogni giorno mi sottopongo a due, tre cicli di fisioterapia respiratoria con farmaci. Ho una forma un po’ mitigata della malattia e i miei mi portavano al mare o in montagna, facendomi fare molti sport. Si sono sottoposti a numerosi divieti che faticavano ad accettare. Ho avuto momenti di sconforto legati alla consapevolezza che altri nelle mie condizioni non ce l’avevano fatta. L’aspettativa di vita si è molto allungata, ma a fronte di cure massicce. Ma non mi sono mai pianta addosso. Detto ciò, forse inconsciamente ho scelto le gare in salita perché rispecchiano la mia realtà, dove nulla è scontato, neppure respirare. Ci sono mille difficoltà ma, tornante dopo tornante, grazie ai volontari e ai progressi dei ricercatori, in vetta ci arriveremo tutti»!
Vorresti correre in altre categorie?
«Questo è il primo anno in cui proverò tutto il campionato in salita. Mi sono iscritta al Mini challenge sui maggiori autodromi d’Italia e a febbraio ho corso il mio primo rally, ma devo fare i conti con fisico e cure. La Formula uno, però, non la considero nemmeno: non riesce a correre neppure la moglie del direttore della Mercedes F1, figuriamoci»!
Quale discesa ameresti sfidare?
«Appurato che non esistono gare in discesa… Preferirei strade in salita, c’è fresco e tanta gente che ti aspetta, la vetta è sempre la vetta».
Il tuo nomignolo è salty girl: vuol dire che ti senti una ragazza salata?
«È un nomignolo creato da un fotografo che ha immortalato diverse ragazze malate e che nasce dalla constatazione che noi che abbiamo la fibrosi abbiamo la pelle salata. Pensa che una prima diagnosi della patologia si ha col test del sudore, che ne valuta la quantità di sodio presente. La malattia mi è stata diagnosticata con uno screening fatto nei primi giorni dopo la nascita e, da allora, ho iniziato a curarmi».
In che cosa consiste tale patologia?
«La fibrosi cistica altera le secrezioni di molti organi che, risultando più dense, contribuiscono al loro danneggiamento. A subire la maggiore compromissione sono bronchi e polmoni, tendendo a portare all’insufficienza respiratoria. Poi possono essere colpiti anche il pancreas, l’intestino, il fegato… Sino a qualche anno, fa erano gli stessi malati a non parlarne per la difficoltà di spiegarla. È una malattia genetica fra le più gravi, ma chi guarda le mie foto e non mi conosce potrebbe pensare che io sia semplicemente una ragazza minuta, che prende la vita come viene e cerca di sorridere sempre».
Come hai vissuto l’adolescenza?
«Ho abbandonato l’università, perché lo stile di vita sedentario avrebbe potuto diventare un serio problema. Lo scorso anno, sui campi di gara, ho conosciuto Nicola, dieci anni più grande di me, cioè dieci anni d’esperienza in più sui motori. Così, col supporto economico e morale della mia famiglia e con lui accanto, ho concretizzato il sogno di correre in macchina, con una Mini potenziata. Aiuto papà nella sua azienda di abrasivi, e sono testimonial della fondazione per la Ricerca sulla fibrosi cistica. Abbiamo molte iniziative fra cui “A bordo con Rachele”, cioè banchetti per l’informazione e la raccolta fondi».
Come sei arrivata alle corse?
«Dopo una prima gara, per passione verso i motori: l’associazione “Un sogno per vincere”, che aiuta i ragazzi con fibrosi cistica, mi ha messo a disposizione una macchina per una corsa in salita con quaranta tornanti. Un ambiente diversissimo dalla pista, familiare e genuino. Me ne sono subito innamorata, grazie ai moltissimi piloti che mi hanno riempito di attenzioni e aiutato a imparare i tracciati a memoria».
Questa competizione è una metafora della tua vita?
«Ogni giorno mi sottopongo a due, tre cicli di fisioterapia respiratoria con farmaci. Ho una forma un po’ mitigata della malattia e i miei mi portavano al mare o in montagna, facendomi fare molti sport. Si sono sottoposti a numerosi divieti che faticavano ad accettare. Ho avuto momenti di sconforto legati alla consapevolezza che altri nelle mie condizioni non ce l’avevano fatta. L’aspettativa di vita si è molto allungata, ma a fronte di cure massicce. Ma non mi sono mai pianta addosso. Detto ciò, forse inconsciamente ho scelto le gare in salita perché rispecchiano la mia realtà, dove nulla è scontato, neppure respirare. Ci sono mille difficoltà ma, tornante dopo tornante, grazie ai volontari e ai progressi dei ricercatori, in vetta ci arriveremo tutti»!
Vorresti correre in altre categorie?
«Questo è il primo anno in cui proverò tutto il campionato in salita. Mi sono iscritta al Mini challenge sui maggiori autodromi d’Italia e a febbraio ho corso il mio primo rally, ma devo fare i conti con fisico e cure. La Formula uno, però, non la considero nemmeno: non riesce a correre neppure la moglie del direttore della Mercedes F1, figuriamoci»!
Quale discesa ameresti sfidare?
«Appurato che non esistono gare in discesa… Preferirei strade in salita, c’è fresco e tanta gente che ti aspetta, la vetta è sempre la vetta».



