Troppo appetitosa la Rai, dal punto di vista del potere in carica, perché il suo Consiglio d’Amministrazione possa essere nominato indipendentemente dalle logiche spartitorie della politica. E così, nonostante i ripetuti annunci di un cambio di rotta, il Governo ha perpetuato la tradizione che vuole i vertici della tv di Stato nominati proporzionalmente al peso delle forze politiche in Parlamento.

La composizione del Cda è ancora normata dalla Legge Gasparri, dato che il disegno di legge Gentiloni – un tentativo di arginare la lottizzazione – è ancora in stand-by. La normativa in vigore prevede la scelta di “soggetti aventi i requisiti per la nomina giudice costituzionale”, ossia: i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinarie e amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo vent’anni di esercizio. Ma possono essere elette anche “persone di riconosciuto prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, umanistiche o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali”.

I nomi dei nuovi membri sono noti, non altrettanto le loro competenze specifiche in materia di televisione, non (sol)tanto dal punto di vista dei contenuti ma anche – forse soprattutto – rispetto alla capacità di gestione strategica di un’azienda con un bilancio miliardario e un organico di circa 13.000 dipendenti.

Se in occasione della precedente elezione del Cda l’allora presidente della Commissione di Vigilanza Sergio Zavoli aveva addirittura aperto uno spazio per la raccolta di curriculum e autocandidature, stavolta le nomine sono avvenute nel ristretto cerchio del Palazzo. Dei sette consiglieri eletti dalla Commissione di Vigilanza, tre sono stati designati dal Pd (Guelfo Guelfi, Rita Borioni e Franco Siddi), due dal Centrodestra (Arturo Diaconale e Giancarlo Mazzuca) uno da Area Popolare (Paolo Messa) e uno dal Movimento 5 Stelle (Carlo Freccero). A loro si aggiunge Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison e docente di Economia industriale, indicato dal Ministero del Tesoro. Quattro dei nuovi consiglieri sono già pensionati e, al di là della questione relativa alla loro effettiva eleggibilità in base alle nuove norme sugli incarichi nella Pubblica Amministrazione, il dato non è depone a favore dell’idea di rinnovamento. Evidentemente si è scelto di privilegiare l’esperienza…

Più coerenti sembrano le scelte di Monica Maggioni alla Presidenza e di Antonio Campo Dall’Orto alla Direzione generale.

La Maggioni ha alle spalle una consolidata carriera giornalistica, che l’ha vista protagonista in Rai prima come inviata poi come conduttrice e, negli ultimi tempi, come direttrice di RaiNews 24. Alla direzione della testata “all news” ha cercato di favorire la mission del servizio pubblico rinunciando, per esempio, al sensazionalismo dei video diffusi dall’Isis e lavorando molto per un’informazione giornalistica a 360°. Conosce bene la macchina giornalistica e l’intera azienda, se saprà essere indipendente dai condizionamenti interni ed esterni potrà fare bene.

Campo Dall’Orto è effettivamente un manager televisivo a pieno titolo: è stato vicedirettore di Canale 5, direttore di Mtv e di La7, amministratore delegato di Telecom Italia Media, presidente esecutivo di Viacom International Media Networks. Conosce le logiche e le strategie di gestione di un’azienda, così come le caratteristiche del mercato televisivo e mediatico.

Da lui e dalla nuova governance ci aspettiamo un rinnovamento dei palinsesti e delle logiche di programmazione, capace di ridurre gli sprechi, ottimizzare le risorse e recuperare margini di concorrenza efficace rispetto alla crescente offerta di canali televisivi. Sempre, naturalmente, nell’ottica di un “servizio pubblico” da realizzare non soltanto a parole e proclami ma nella concretezza dei fatti.