Non più solo i ragazzi, anche le fanciulle potranno diventare Boy Scout d’America. L’annuncio arriva dopo oltre cento anni di attività riservate ai maschi: «I valori scout sono importanti sia per i giovani uomini sia per le giovani donne. Crediamo che sia fondamentale evolvere i nostri programmi per soddisfare le esigenze delle famiglie, oggi molto impegnate o monoparentali, con un’unica proposta», ha detto Michael Surbaugh, capo dell’associazione. La svolta, una «decisione storica», è stata approvata all’unanimità e dal prossimo anno le femmine potranno scegliere se far parte al sodalizio femminile Girl Scout o se passare all’associazione mista.

Una novità assoluta nel mondo dello scoutismo? Niente affatto, soprattutto in Italia dove la coeducazione, ovvero l’educazione di maschi e femmine insieme, è da decenni uno dei capisaldi delle maggiori realtà scout.

Agesci, l’Associazione guide e scouts cattolici italiani che conta 185 mila, è nata nel 1974 proprio dall’unione dell’associazione maschile e di quella femminile. «Si percepiva l'importanza di poter vivere la proposta pedagogica scout assieme, privilegiando la costruzione della propria identità grazie al confronto con l'altro», dicono Barbara Battilana e Matteo Spanò, presidenti del Comitato nazionale Agesci. Oggi quindi femmine e maschi crescono insieme e insieme diventano adulti. Ma senza “quote rosa”: Agesci – caso più unico che raro nell’associazionismo e non solo – prevede infatti che nei ruoli di responsabilità, a livello locale come a livello nazionale, ci siano sempre una donna e un uomo che operano in diarchia.

Allo stesso modo gli scout del Cngei, Corpo nazionale giovani esploratori ed esploratrici italiani, 13.500 soci circa, cominciarono a sperimentare la coeducazione fra gli anni Sessanta e Settanta per poi giungere all’unificazione delle associazioni nel 1976. E oggi per gli scout laici la coeducazione è «un’opportunità per far crescere e vivere assieme ragazze e ragazzi valorizzandone le specifiche attitudini e originalità».

L’unione dei rami maschili e femminili fu per gli scout italiani una scelta eccezionalmente innovativa, in netta discontinuità con la stragrande maggioranza degli ambiti educativi dell’epoca, dalla scuola alla parrocchia. «Vivere uno stesso stile di vita, gli stessi valori, le stesse attività è stato l'incentivo che ha spinto le due associazioni ad andare oltre, offrendo scenari di arricchimento reciproco inaspettati - dicono ancora Battilana e Spanò - gli uomini hanno portato l'attenzione al metodo, all'operosità, al rimboccarsi le mani e mettersi a servizio, ma anche un pensiero alto di ideale educativo. Le donne hanno portato una semplicità e una disponibilità a vivere la relazione educativa, una forte connotazione simbolica della proposta, ma anche una profonda dimensione spirituale».

Allora non tutti condivisero la decisione (alcuni presero le distanze e diedero vita ad altre realtà scout), eppure a più di quarant’anni di distanza Agesci considera la coeducazione una dimensione imprescindibile, «una bella sfida perché permette di assaporare un arricchimento reciproco, un completamento del proprio essere, delle proprie sensibilità, delle proprie idee», proseguono i presidenti Agesci.

Ma se nel nostro Paese l’unione arrivò dopo confronti e ragionamenti condivisi, negli Stati Uniti non vi è stato nessun accordo. Non meno di due mesi fa la presidentessa delle Girl Scout, Kathy Hopinkah Hannan, ha infatti accusato i colleghi uomini di condurre una «campagna nascosta per reclutare le ragazze», chiedendo formalmente che l’organizzazione maschile restasse «concentrata su quel 90% di ragazzi americani che attualmente non partecipano ai Boy Scout». L’impressione è che oltreoceano il dibattito – già rovente – sia solo all’inizio.