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Il voto definitivo del Parlamento francese che ha introdotto l’aborto nella Costituzione come “libertà garantita dalla legge” getta su quella che si è sempre vantata d’essere la Patria dei Lumi un’ombra scura. Aborto è parola di morte, libertà è prerogativa di giustizia. Far giusta la morte vuol dire mettere fra le regole una parola, più che erronea, perversa. Non solo perché fa d’una tragedia umana, d’una piaga cruenta, un traguardo protetto, ma perché tradisce lo stesso concetto di diritto.
Diritto è il bene, diritto è il giusto. La sapienza romana da cui discende la civiltà giuridica del mondo lo compendiò con le tre grandi parole del Digesto, “vivere onestamente, non far male agli altri, dare a ciascuno il suo”. L’aborto fa il male d’un altro, gli toglie ciò che è suo, la vita, è una ingiustizia posta alla radice dell’esistenza. Non per nulla lo sforzo di nascondere la cruda realtà d’una morte è stato quello di distogliere lo sguardo dal volto del nuovo essere umano, fino a negarne la stessa natura. I più accaniti hanno persino dipinto il figlio non voluto come un ingombro, un intruso che è ben lecito sloggiare dal grembo, in nome della libertà.
Ma è davvero libertà questa “gestione del corpo”, come viene chiamata la decisione di dare o negare la vita, la nuova vita che ha preso dimora in quel corpo in simbiosi di reciproco dono? Una visione dell’aborto comeingrediente della salute
sessuale e riproduttiva mette un brivido. Se c’è nel generare, nell’intima relazione della maternità un’istanza naturale di giustizia, di diritto, di assistenza, di soccorso nelle circostanze difficili, essa genera un dovere sociale di provvidenza
per la vita. Lo scandalo è l’abbandono. Lo scandalo è che vi siano maternità esposte al rischio del rifiuto o forzate alla rinuncia per le strettoie, le angustie, le attese inappagate, gli ostacoli pur rimovibili ma divenuti insuperabili per l’indifferenza sociale e per la diserzione alle promesse d’aiuto.
La Francia che oggi mette in Costituzione l’aborto, un giorno scrisse sulle bandiere della sua rivoluzione che “la libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri”, in una visione di socialità che non conosce esclusioni. Oggi sul confine tra accoglienza ed esclusione è il figlio. Lo diciamo“nostro” ed è vero in quanto è vita da vita. Ma è vita altra, è vita nuova, è vita sua; e l’intera sua voce è un bisogno d’amore.Tutte le Dichiarazioni che i popoli hanno scritto nella storia incominciano dalla vita e dai suoi diritti insopprimibili. Nascono prima che per comando di legge per quel miracolo di gioia che è la sponsalità del corpo dell’uomo e della donna, e che si fa dono di vita. Non vorremmo mai perdere la parola dell’amore e avere per legge la parola della morte.



