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Sono sempre stato criticato, ma è solo andando controvento che si può risalire in aria, come gli aerei: per questo dico grazie a chi ha tentato di frenarmi perché mi ha costretto a dare il meglio di me. Sono diventato Messner andando contro vento». Gli 80 anni compiuti il 17 settembre non smorzano la verve dell'alpinista più famoso di tutti i tempi, anzi, l'alpinista per antonomasia. Reinhold Messner va dritto al punto come ha fatto per tutta la vita: sempre e comunque controvento sulla roccia, sul ghiaccio e anche «nella civiltà dove a volte è più difficile che in Antartide». Indipendente, innovativo nello stile come nell'approccio alla scalata – tanto che nell'alpinismo c'è un prima e un dopo Messner – l'altoatesino ha inanellato una serie di imprese passate alla storia, fra cui la salita, per primo, a tutti i 14 ottomila senza ossigeno – record che il Guinness dei primati gli ha revocato un anno fa per il presunto non raggiungimento di una delle cime –, e la conquista del Polo Sud senza l'ausilio di animali o mezzi meccanici. Ma al di là dei primati, a fare di Messner un riferimento imprescindibile, una leggenda, è stato il suo pensare (e realizzare) l'impensabile.
Nato a Funes-Villnöss, in provincia di Bolzano, Reinhold muove i primi passi sulle montagne di casa, assieme al padre e ai fratelli. A cinque anni sale il primo tremila. Da lì in avanti, un po' per allontanarsi dalle restrizioni familiari (padre insegnante, madre tutto fare con nove figli), un po' per l'irrefrenabile desiderio di misurarsi in ambienti selvaggi, sarà un susseguirsi di scalate. Si cimenta con tutte le vette delle Alpi, poi approda in Himalaya. Scala in assoluta libertà, senza chiodi e spesso senza compagni, in una progressione che lui stesso definisce «istintiva e razionale». A intrigarlo è la possibilità di immaginare una via dove altri vedono solo pareti insormontabili. È additato come incosciente, soprattutto quando arrampica in solitaria senza protezioni, ma lui folle non si considera proprio. «L'ascesa nel free climbing riusciva nel 60% dei casi, negli ottomila ho fallito il 50% dei tentativi. L'arte del salire è evitare il pericolo», ha ribadito più volte, sottolineando l'assoluta conoscenza delle proprie capacità e la lucida assunzione del rischio.
Negli anni Sessanta prende piede l'ancoraggio a espansione (che limitando i danni della caduta ridimensiona l'importanza della tecnica e dell'abilità fisica) e Messner porta avanti un suo personale "Sessantotto in verticale". Proprio nel 1968 pubblica la riflessione L'assassinio dell'impossibile, in cui sostiene che con i chiodi a espansione non sarebbe più esistito l'impossibile e quindi l'avventura: il tema scalda il dibattito ancora oggi. Sempre nello stesso anno pubblica il libro Il settimo grado, titolo tanto provocatorio quanto visionario, dato che la scala ufficiale contemplava arrampicate fino al sesto. Messner ha poi convissuto per più di trent'anni anche con la più terribile delle accuse (poi rivelatasi infondata): aver abbandonato il fratello Günther sul Nanga Parbat nel 1970. Una prova dopo l'altra, avanti per la sua strada punteggiata di polemiche, in montagna ma non solo. Tre mogli e quattro figli, esploratore e ricercatore (sua la scoperta di Ötzi sulle Alpi), ma anche agricoltore biologico, ha promosso musei – i sei del circuito Messner Mountain Museum sono conosciuti a livello internazionale – e ora sta girando un film sulla conquista italiana del K2. E, ancora, dapprima introdotto alla politica da Alexander Langer, dal 1999 al 2004 è stato parlamentare europeo con i Verdi italiani.


La sua ultima impresa si chiama MMH, Messner Mountain Heritage, ed è la start up fondata con la moglie Diana per trasmettere, appunto, la sua eredità: «Il mio patrimonio non è di natura materiale, mi sento corresponsabile dell'alpinismo tradizionale. Oggi chi arrampica va per il 90 per cento nelle palestre indoor, ma questo non è alpinismo. Come non è alpinismo avere i depositi di bombole di ossigeno: è turismo in quota». Nei suoi pensieri oggi c'è la natura. «Voglio fare di tutto per salvaguardare le zone selvagge, la natura è la cosa più importante che abbiamo, ha una dimensione divina e può salvarci. Andare nella wilderness (le terre selvagge, ndr), permette di capire quanto siamo piccoli e quanto la natura sia fantastica».
Dalla visione all'azione, instancabile: «Stiamo sistemando una vecchia costruzione a 2 mila metri in Val Pusteria, lì voglio fare una casa per i ragazzi che vivono con il computer e non hanno la possibilità di toccare un albero e prendere in mano un sasso. Ciascuno deve trovare la propria strada, ma voglio che i giovani conoscano la natura». E l'ottantesimo compleanno? Ça va sans dire, Messner l'ha trascorso alla sua maniera: «In malga con mia moglie, una bottiglia di vino rosso, il pane duro, lo speck e le stelle».
La scheda: Da quando, nel 1970, dei semplici contadini di montagna gli salvarono la vita sul Nanga Parbat, Messner si sente molto legato alla gente delle valli più remote e in quota. Per questo ha dato vita alla Messner Mountain Foundation, che sostiene le popolazioni che vivono in Himalaya, Karakorum, Hindu Kush, Ande e Caucaso (www.messnerfoundation.org). L'alpinista ha anche pubblicato decine di libri. L'ultimo, edito da Corbaccio, s'intitola La mia vita controvento.
Foto di Archio Reinhold Messner



