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Nelle aule delle scuole superiori di Verona e provincia, l’atmosfera cambia appena inizia l’incontro. I ragazzi entrano ridendo, con il telefono ancora in mano, gli zaini a terra. Poi, piano piano, il brusio si spegne. Sullo schermo compaiono immagini e voci che raccontano cosa può accadere in un istante, quando la leggerezza di una serata si trasforma in un punto di non ritorno. Non c’è retorica, non c’è tono da lezione: quello che si respira è attenzione. Chi parla non è lì per fare la morale, ma per condividere un’esperienza vera, vissuta sulla propria pelle, nella speranza che diventi monito. È questo il cuore di Verona Strada Sicura, associazione nata dall’incontro fra forze dell’ordine, soccorritori e famiglie che hanno conosciuto il dolore di un incidente stradale e hanno scelto di trasformarlo in impegno.
«Il segreto sta nel fare qualcosa di buono, bello e pulito per gli altri» racconta Andrea Scamperle, presidente dell’associazione e commissario della polizia stradale. «La rabbia la lasci alle spalle. Il dolore non passerà mai, ma puoi cercare di trasformarlo in un aiuto per gli altri, soprattutto per i ragazzi».


Un’idea che parte dalla strada
La storia di Verona Strada Sicura comincia negli anni ’90, quando Scamperle si occupava di incidenti gravissimi, spesso legati all’alcol. «All’epoca – ricorda – non c’era ancora l’attenzione di oggi per la prevenzione. Così, insieme ai Vigili del Fuoco e al 118, abbiamo iniziato a entrare nelle scuole con un approccio diverso dalla classica educazione stradale: non solo segnali e regole, ma testimonianze dirette di quello che vedevamo ogni fine settimana».
Allora i controlli con l’etilometro erano agli inizi e le cosiddette “strade del sabato sera” riempivano le pagine di cronaca nera. Gli operatori intervenivano su incidenti che spesso lasciavano dietro di sé più di una vittima. «Tornare a casa dopo certe notti non era facile» confessa. «Quando sei sul posto e puoi fare qualcosa, ti concentri. Ma quando arrivi e non c’è più nulla da fare, il peso resta addosso».
Il vero punto di svolta arriva nel 2005, dopo un incidente in cui muoiono cinque ragazzi della provincia di Verona. «Chiamammo la mamma di uno di loro, Loretta. Ci disse: “Voglio venire con voi”. È stata la prima di tante famiglie che hanno trovato in questa attività un modo per convivere con il dolore».


Un gruppo che cresce
Negli anni, il gruppo si è allargato e strutturato. Oggi conta circa novanta persone, tra polizia stradale, vigili del fuoco, 118, ausiliari della viabilità, atleti disabili che hanno perso l’uso delle gambe a causa di incidenti, e naturalmente i familiari delle vittime. C’è chi ha perso un figlio, chi un fratello, chi un amico. C’è chi ha subito gravi menomazioni e ha scelto di trasformare la propria testimonianza in un insegnamento per gli altri.
Dal 2016, con il patrocinio della Prefettura di Verona, l’associazione è formalmente costituita e porta il proprio format in decine di scuole ogni anno. Gli incontri non sono improvvisati: a settembre si prepara il calendario, si stabiliscono i turni, si decide chi andrà in quale istituto. «Così – spiega Scamperle – riusciamo a evitare che per i familiari diventi una routine emotivamente insostenibile. Raccontare la propria storia è faticoso: per questo ci si alterna e ci si sostiene a vicenda».


Tre momenti, un unico messaggio
Le mattinate di sensibilizzazione seguono uno schema collaudato. Si parte con gli operatori, che raccontano episodi vissuti sul campo: incidenti dovuti alla velocità, all’alcol, all’uso di droghe o dello smartphone alla guida. Non sono solo dati o numeri, ma immagini e parole che trasmettono cosa significhi davvero arrivare per primi su un luogo dove pochi minuti prima c’era vita e ora c’è silenzio.
Poi prendono la parola gli atleti disabili, testimoni diretti delle conseguenze di un incidente: storie di chi, in un attimo, ha visto cambiare per sempre il proprio corpo e il proprio futuro. Infine, il momento più intenso: quello dei genitori. Madri e padri che parlano dei loro figli, mostrando foto, raccontando passioni, sogni, caratteri. È un racconto di vita, più che di morte, e proprio per questo colpisce.
Fra loro c’è Carlotta Mancini, di cui Famiglia Cristiana pubblica in questo numero l’intervista. È la più giovane del gruppo, entrata dopo aver perso la sorella gemella in un incidente di cui era stata testimone. «Carlotta è la punta visibile di un gruppo di famiglie che lavorano insieme, sostenendosi a vicenda» sottolinea Scamperle. «Ognuno ha la sua storia e il proprio turno per raccontarla».


Oltre la testimonianza
Non tutte le famiglie che si avvicinano a Verona Strada Sicura sono pronte a parlare in pubblico. «Se prevale ancora la rabbia – spiega il presidente – rischi di trasmettere rancore, non consapevolezza. Per questo abbiamo creato un gruppo di mutuo aiuto: incontri serali tra pari, supportati da psicologi, per aiutare chi non è ancora pronto».
In parallelo, l’associazione offre anche supporto psicologico agli stessi operatori, perché condividere certe esperienze, anche dopo anni di servizio, può essere pesante. È una rete in cui si ascolta e si viene ascoltati, e dove il vissuto di ciascuno trova spazio e rispetto.


Un impatto che resta
Durante gli incontri, le domande dei ragazzi non sono molte. «Forse perché riusciamo a essere esaustivi e a toccare corde profonde» dice Scamperle. «Non parliamo di codici e sanzioni: quelle si possono leggere a casa. Il nostro obiettivo è far capire che un errore può cambiare la vita per sempre. E non lo diciamo noi: lo racconta chi ci è già passato».
Alla fine, spesso gli studenti lasciano un messaggio su un post-it, che viene appeso all’“albero della vita” dell’associazione. «Ci scrivono: “Mi avete aperto gli occhi”, “Grazie per tenerci al sicuro”. Sono frasi semplici ma ci confermano che siamo arrivati al cuore».


Il futuro di Verona Strada Sicura
Oggi l’associazione è un punto di riferimento per la provincia di Verona. «Ogni settembre pianifichiamo il calendario delle scuole: ogni venerdì siamo in un istituto diverso, e a volte anche più spesso» racconta Scamperle. L’impegno è volontario, ma richiede organizzazione e costanza: serve tempo, serve preparazione, serve la capacità di mettersi in gioco senza risparmiarsi.
Dietro ogni incontro c’è un intreccio di professionalità, esperienza e umanità: poliziotti che hanno dovuto bussare alla porta di famiglie per dare la notizia peggiore, genitori che hanno imparato a raccontare la propria storia, giovani che scelgono di ascoltare.
«Non illudiamoci di salvare tutti – conclude Scamperle – ma se anche solo un ragazzo, uscendo da scuola, decide di non mettersi alla guida dopo aver bevuto, abbiamo fatto la differenza. Ed è questo che ci spinge ad andare avanti».



