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Rispetto all'ultima, stucchevole polemica da salotto, quella innescata dal premier Matteo Renzi sulla qualità dei talk show (definiti in un tweet un'accozzaglia di "trame, segreti, finti scoop, balle spaziali e retropensieri"), posso dirmi assolutamente innocente. Ho smesso infatti di seguire i talk show molti anni fa, più o meno quando Santoro macinava ancora ascolti da record e Ballarò inseguiva con buona lena e Giovanni Floris inseguiva di buona lena. Quando i talk erano un must e chi non li apprezzava era un po' off. Quando il mattino, in ufficio, si citavano le frasi di questo o quel politico in trasmissione. Di Porta a porta non dico perché avevo smesso di seguirlo anche prima.
Snobismo? Non credo, anzi: in questi anni mi sono sempre sentito un po' in colpa. Un giornalista non dovrebbe essere sempre connesso, sempre attento a ciò che i protagonisti della vita pubblica vanno dicendo, pronto a meditare e commentare quanto i colleghi più famosi dichiarano e fanno dichiarare? Così, ora che il premier attacca i talk show, il pubblico lentamente li abbandona, e i giornali perfidamente notano che Rambo 1 e Rambo 2 - La vendetta sconfiggono come ascolti i big del settore, mi sento come il protagonista di quel vecchio film di Woody Allen, Il dormiglione, tale Miles Monroe, ibernato nel 1973 e risvegliato due secoli dopo, quindi incapace di ritrovarsi nel nuovo e improvviso mondo.
Dei talk show si sa: costano poco e per anni hanno macinato buoni ascolti. Prodotto ideale, quindi, per i produttori televisivi, che infatti li hanno piazzati su qualsiasi canale e a qualunque ora. Però, se devi dirla tutta, a un certo punto (parecchi anni fa, come dicevo) ho cominciato a trovarli tremendamente noiosi. In sostanza, per due ragioni principali.
La prima è che, essendo lo spettacolo (show) basato sulla parola (talk), i personaggi più spettacolari sono stati e sono quelli che meglio o più sfacciatamente manovrano le parole, non quelli che dicono le cose più utili o intelligenti. Il che ha contribuito a popolare i talk show sempre degli stessi personaggi. C'è gente che girovagando per i talk show a dire cose orrende o stupide si è fatto un nome e una fama, e si è mantenuto un seggio in Parlamento lautamente retribuito. Cosa che mi ha irritato e quindi spinto a dirigermi verso le partite di calcio. In quelle, almeno che dice o fa cose stupide di solito perde la partita.
La seconda è che, all'irritazione di cui sopra, si è aggiunta un'irresistibile forma di noia. Sempre le stesse facce, sempre gli stessi discorsi e mai alcuna conclusione. Perché il talk show di solito funziona così: il signor A la pensa in un certo modo, il signor B nel modo opposto. E per tutto il programma passano il tempo a sostenere la propria posizione, assolutamente convinti (e impegnati a ribadire) che la posizione dell'altro è totalmente insostenibile. Poi, nella realtà, le cose vanno in modo ben diverso. Soprattutto in quella politica di cui i talk show si occupano prioritariamente. La politica è il regno del possibile e del compromesso, l'esatto contrario di quel che i talk show tendono a farci credere. Un esempio: visto com'è finita, nel Pd, tra maggioranza renziana e minoranza bersaniana, sulla riforma del Senato? Un accordo, un compromesso. Ma se aveste seguito un talk show dieci giorni fa, avreste avuto l'impressione che mai e poi mai maggioranza e minoranza avrebbero trovato un'intesa. E quindi, scusate, a che serve seguire i talk show?



