(Nella foto: Rosanna Scopelliti accanto all'ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano)

“Hanno messo in conto le condanne, hanno messo in conto i sequestri e le confische, ma non hanno messo in conto di perdere i figli”. Così Giuseppe Lombardo, sostituto Procuratore della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha presentato la proposta di legge sulla sospensione e la decadenza della responsabilità genitoriale nei riguardi di appartenenti ad associazioni mafiose. La proposta di legge è iniziativa della deputata Rosanna Scopelliti, figlia del magistrato Antonino Scopelliti ucciso il 9 agosto del 1991, che ha voluto presentarla in occasione della commemorazione ‘Mio padre non è un eroe’ ieri alla Camera dei Deputati, nel giorno in cui il giudice avrebbe compiuto 81 anni. Dal ricordo del ‘giudice solo’ nasce l’impegno per i figli della ‘ndrangheta. “A te hanno ucciso il padre e allora tu vuoi togliere i figli agli ‘ndranghetisti” se lo è sentito dire tante volte Rosanna Scopelliti.

La proposta di legge, invece, nasce dalla necessità e dall’urgenza di intervenire sulla tutela dei minori che vivono in contesti di degrado criminale. Perché i bambini che crescono all’interno di famiglie mafiose vengono educati ai valori criminali dell’omertà, della paura e della vendetta. “Abbiamo ascoltato tanti figli piangere” ha detto Lombardo raccontando delle indagini fatte nell’autunno 2007, in una stagione caraterizzata dalla presenza di molti latitanti “e soprattutto siamo riusciti a renderci conto che, accanto alla figura paterna, che era del tutto identificabile con il soggetto che aveva un ruolo nell’organizzazione di tipo mafioso, anche le madri applicavano in maniera distorta i diritti e i doveri che i genitori hanno nell’educare i figli”. La famiglia di ‘ndrangheta funziona come una fabbrica di mafiosi: i minori vengono formati a partecipare alle organizzazioni criminali che coincidono perfettamente con le famiglie di sangue.

Nei figli della ‘ndrangheta il senso del dovere che viene impresso consiste nell’aderire alla logica mafiosa in tutte le regole dell’onorata società. Il destino lo decide il cognome: o il carcere o la morte. “Questo ci ha spinti a ritenere che fosse necessario un intervento normativo che miri principalmente a tutelare il minore e a mostrargli che esiste una via alternativa - ha spiegato Lombardo - perché l’elemento più forte su cui le mafie giocano è quello di far apparire, soprattutto agli occhi dei figli, quel sistema come assoluto”. La proposta di legge si pone l’obiettivo della sospensione o della decadenza della potestà genitoriale non solo a carico del mafioso latitante o sottoposto a custodia cautelare, la cui potestà genitoriale è già sospesa per effetto delle sentenze, ma a carico della madre che viola tutti i principi che il codice civile detta in relazione ai valori dell’educazione. A conferma che la ‘ndrangheta si eredita, il giudice Roberto Di Bella ha visto passare nel Tribunale dei minori di Reggio Calabria, i padri e i fratelli maggiori dei ragazzi che adesso si trova davanti.

E, al fine di spezzare la continuità generazionale che assicura il potere mafioso sul territorio, sono stati circa 30 i provvedimenti emessi per allontanare provvisoriamente i minori dalle famiglie di ‘ndrangheta. Inoltre, il Tribunale dei minori reggino ha presentato un progetto organico al ministero della Giustizia. Lo scopo è quello di avviare, attraverso i fondi dell’Unione europea, un piano di azione sistematico nei confronti dei minori appartenenti a famiglie di ’ndrangheta. ‘Liberi di scegliere’, così si chiama il progetto che coinvolge un’équipe multidisciplinare composta da magistrati, assistenti sociali, psicologi, educatori e volontari di associazioni antimafia che avrà il compito di individuare il percorso personale per ogni minore. Dare ai ragazzi la possibilità di riscattarsi con la scelta di una vita alternativa è dovere di uno Stato che non voglia ipocritamente reprimere e perseguire delinquenti annunciati. Per questo bisogna attivarsi per impedire ai figli dei mafiosi di finire come i loro genitori, allontanandoli da contesti familiari nei quali non si registri una presa di distanza significativa della madre dalla linea di condotta paterna.